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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2011 alle ore 14:24.

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Gli accordi di Bruxelles hanno dimostrato che i problemi attuali del default selettivo della Grecia sono nella realtà più politici che economici. Ha notato correttamente John Lanchester sull'ultimo numero della London Review of Books che: «La crisi economica greca è il fatto più importante che sia avvenuto in Europa dalla guerra nei Balcani». Ma ciò non è certo perché l'economia greca sia centrale all'ordine europeo. Infatti con circa il 3% del Pil dell'Eurozona, potrebbe anche scomparire senza lasciar traccia, sicché nessuno la rimpiangerebbe. Le ragioni per le quali tuttavia questa crisi è riuscita a creare una seria minaccia all'economia globale sono diverse e comunque non paiono radicalmente risolte dal vertice europeo di salvataggio dello scorso giovedì.

L'euro potrebbe, è vero, essersi rafforzato, ma è peraltro chiaro che il Patto di Stabilità europeo non ha funzionato, dacché la moneta unica era stata creata sul presupposto che nessun Paese che vi partecipasse sarebbe mai caduto in default. I compromessi raggiunti a Bruxelles hanno ancora una volta messo in risalto l'insufficienza politica dell'Europa, travagliata all'interno dal conflitto fra i due più importanti paesi (Germania e Francia) e dalla continua alternanza nella loro politica fra un perseguimento di interessi nazionali divergenti rispetto a quelli europei. L'epoca della concordanza simbolica fra Adenauer e De Gaulle del 1962 o fra Kohl e Mitterand del 1964 è ben lontana dalla «grande indifferenza reciproca» fra Merkel e Sarkozy nel prevertice di Bruxelles. Tempo fa aveva giustamente notato il grande filosofo Peter Sloterdijk che: «La famosa amicizia franco-tedesca è solo un fantasma inventato dai professionisti dei summit ufficiali». Eppure oggi la gran parte del debito greco di 350 miliardi è pur sempre nel portafoglio soprattutto delle banche tedesche e francesi che il mancato salvataggio greco avrebbe portato a casi di fallimento ben più devastanti di quello di Lehman Brothers.

Nell'indifferenza, al fine di mantenere solvibili i due sistemi bancari è nato, fra l'altro, il felice compromesso per il decisivo aumento dei poteri del Fondo salva Stati (Efsf) ad aiuto dei debiti sovrani della Banca centrale europea e degli istituti bancari europei più esposti. Il problema più critico ora si presenta tuttavia per due Paesi. Il primo, ovviamente, è la Grecia, la quale ha certamente di fronte a sé almeno un decennio di austerità, di disoccupazione, e di miseria che difficilmente le bellezze naturali e artistiche o il turismo dall'estero potranno completamente alleviare. Le furiose rivolte popolari ne sono già un'avvisaglia. Il secondo è la Germania, la cui economia si presenta troppo forte e potente rispetto a quella di altri Paesi dell'Unione, più piccoli e deboli, a meno che questi siano decisamente aiutati da un'efficiente politica monetaria europea, che i tassi di interesse della prima decade dell'euro, favorevoli all'industria tedesca, hanno invece danneggiato, rendendoli così vittime degli assalti della speculazione non sempre misteriosa. È per questo che i contribuenti tedeschi sembrano contrastare le altalenanti prese di posizione politiche della signora Merkel e paiono assai riluttanti a duramente impegnarsi per il beneficio degli altri di loro meno virtuosi.

Insomma, è la Germania che deve soprattutto una volta per tutte scegliere se il suo storico destino sia quello di perseguire un superiore interesse europeo accanto e anche a beneficio di quello nazionale. Nel secolo scorso la prevalenza del suo speciale destino è stata causa della tragedia europea e oggi la titubante cancelliere Merkel deve decidere se seguire o meno, con ferma volontà, la strada indicata dai due grandi predecessori Adenhauer e Kohl.

La strada è chiara e l'Efsf è già stato un primo timido segnale positivo, le cui decisioni sia pur ispirate a principi di indipendenza e autonomia non siano dettate né dai mercati né dalla prevalenza di qualche singolo Stato o dalla vocazione delle Banche centrali, più sensibili ai problemi dell'inflazione che a quelli della disoccupazione e della miseria delle popolazioni, ma a quelli di una unitaria politica europea tesa alla ricerca di migliori qualità della vita.

È essenziale dunque che questo passo sia al più presto seguito dall'emissione degli Eurobonds secondo la proposta di Giulio Tremonti, in attesa di una politica fiscale unitaria e di un bilancio federale europeo. La costruzione non più esclusivamente monetaria dell'Europa deve via via essere completata perché essa imbocchi decisamente la strada della crescita e del benessere, ad aiuto anche degli altri Paesi del mondo, a evitare la catastrofe apocalittica globale descritta da René Girard. L'Europa dei mercati deve così divenire una coesa Europa politica, sicura della sua esistenza e non messa sotto continua minaccia dalla speculazione o dai cedimenti dei debiti sovrani dei suoi Stati membri.
A questa vocazione anche il futuro dell'Italia è indissolubilmente legato.

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