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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2011 alle ore 14:21.

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A fronte delle sorprese negative che arrivano dagli Stati Uniti, le conclusioni del vertice dell'Area euro sono state una sorpresa positiva. Come molti osservatori hanno già sottolineato, le decisioni prese a Bruxelles sono significativi passi avanti.

Inoltre, e cosa forse ancora più importante dei singoli provvedimenti, la consapevolezza che la moneta unica è a una svolta cruciale ha fatto emergere una forte volontà politica a fare davvero tutto ciò che è necessario per salvarla.

Questa sorpresa positiva, tuttavia, non deve illuderci. Forse più di così non si poteva fare, ma l'Area euro è ancora in mezzo al guado. Vi sono ancora troppi nodi da sciogliere per pensare di avere già imboccato la via d'uscita. L'incognita più importante è se la European Financial Stability Facility (Efsf) avrà davvero le risorse necessarie a svolgere con credibilità il compito che il vertice le ha assegnato, e cioè intervenire a scopo precauzionale per arginare il contagio e per facilitare la ricapitalizzazione del sistema bancario. Per conoscere la risposta, dovremo aspettare l'esito di dibattiti nei sistemi politici nazionali. Ma non è affatto detto che la volontà politica emersa tra i capi di stato a Bruxelles sia sufficientemente condivisa nei parlamenti nazionali; anzi, è probabile che sia vero il contrario. Senza risorse adeguate, tuttavia, gli impegni presi a Bruxelles non sono credibili.

La seconda incognita riguarda i "dettagli" ancora da definire per attuare gli impegni presi a Bruxelles. La decisione di far intervenire l'Efsf sul mercato secondario dei titoli di stato dovrà essere solo basata sull'analisi della Bce, oppure dovrà anche avere il benestare politico e unanime di tutti i paesi membri? Quali meccanismi istituzionali saranno adottati per rinforzare il patto di stabilità e assicurare la disciplina fiscale dei singoli paesi? Quanto in fretta si procederà a ricapitalizzare le banche più colpite dalla crisi sul debito sovrano? Queste e altre domande non riguardano solo dettagli tecnici, ma anche complessi nodi politici la cui soluzione avrà esiti incerti e tempi non brevi. L'atteggiamento della Banca Centrale Europea, di scaricare sui governi il compito di trovare una via d'uscita dalla crisi del debito sovrano, può essere comprensibile alla luce del suo mandato, ma sicuramente alza il livello di rischio. Se la Federal Reserve americana avesse adottato lo stesso atteggiamento intransigente all'indomani del fallimento di Lehman, in attesa che il Tesoro e il Congresso si mettessero d'accordo su come risolvere la crisi bancaria, forse non se ne sarebbe mai usciti.

Infine, ma non da ultimo, i problemi dell'Area euro non riguardano solo la sua architettura istituzionale. Alcuni paesi sono davvero in una situazione difficile. Senza una ripresa della crescita è quasi impossibile rientrare dagli alti debiti pubblici. Ma le prospettiva di crescita, in particolare di Grecia e Portogallo, sono quanto mai precarie, anche a causa della perdita di competitività accumulata negli anni della moneta unica. Anche l'Italia è vulnerabile, per via dell'elevato debito pubblico in un'economia che rimane stagnante.

In questa situazione, la volatilità dei mercati resterà alta, e altri momenti di forte tensione sono quasi inevitabili. Ciò riguarderà anche l'Italia. Non illudiamoci che il costo del debito pubblico italiano possa tornare presto ai livelli di qualche mese fa. E un elevato costo del debito rende tutto più difficile, non solo perché alza lo sforzo fiscale, ma anche perché attraverso il sistema bancario si ripercuote su tutta l'economia e scoraggia gli investimenti.

Insomma, il vertice di Bruxelles ha consentito di guadagnare tempo. Ma ora è essenziale che la politica economica italiana faccia tesoro delle lezioni di queste settimane, e mantenga elevato il senso di urgenza. Il lavoro è ancora tutto da fare. Senza un cambiamento radicale di rotta, l'Italia si ritroverà quanto prima nell'emergenza finanziaria.

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