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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2011 alle ore 08:05.

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Per passare dalla crescita "anemica" stimata dal Centro studi Confindustria nell'ultima analisi mensile – sul Sole 24 Ore di venerdì scorso – a uno sviluppo del prodotto nazionale reale sistematicamente superiore al tasso di interesse depurato dell'inflazione, che è quello che consentirebbe di stabilizzare davvero i conti pubblici, l'Italia non ha di fronte molte alternative.

La crescita economica, in estrema sintesi, dipende da pochi elementi: se la demografia e l'occupazione ristagnano, resta solo la trasformazione strutturale, da settori per i quali la domanda e le regioni di scambio internazionali sono stagnanti verso settori dinamici. Questo richiede una progressiva trasformazione complementare, quella dei processi produttivi, verso tecniche e competenze più "di frontiera". In assenza di questi passaggi, l'aggancio ai mercati dinamici si rivelerà sempre più effimero e illusorio, le nostre ragioni di scambio peggioreranno inevitabilmente, e la nostra crescita potenziale difficilmente si schioderà dallo 0,5 l'anno che l'Ocse oggi stima.

Si tratta di aggiornare il nostro "assemblaggio" di risorse produttive. Secondo Prometeia, nel 2014 la spesa pubblica in conto capitale scenderà al 2,8% del reddito nazionale, dal già insufficiente 3,5 del 2010. Ma oltre alle infrastrutture materiali, pubbliche o private che siano, occorre guardare alla composizione complessiva del capitale domestico.
Con i Paesi del Sud e dell'Est Europa, l'Italia condivide una tendenza storica di investimento molto orientata al materiale (impianti e macchinari) e poco all'immateriale (software e informazione computerizzata; proprietà intellettuale codificata; competenze economiche). Utilizziamo, insomma, tecniche di produzione affini alla Spagna o alla Polonia, anche se abbiamo ancora un vantaggio in termini di qualità dei prodotti, mentre i Paesi del Centro e Nord Europa investono molto più in "intelligenza" reificata.

Nella debolissima dinamica della produttività del lavoro italiana (negativa addirittura nel decennio passato e prima della crisi), il contributo delle risorse immateriali al valore aggiunto del lavoro umano è pressoché nullo.
La tabella pubblicata qui sotto, elaborata su dati che il Luiss Lab sta predisponendo per la DG Ricerca della Commissione Europea, mostra il contributo alla crescita della produttività del lavoro (Pl), del capitale materiale (Tcd), del capitale intangibile (Icd) e della produttività totale dei fattori (Ptf) negli anni 1995-2008, in Francia, Germania, Italia e Svezia. Nel periodo 2000-2008, i dati mostrano che in Italia la produttività del lavoro ha mantenuto un tasso di crescita negativo (-0,57% in media d'anno) da attribuire principalmente al contributo negativo della Ptf (-0,67%) e del capitale immateriale (-0,1).

Scomponendo ulteriormente il contributo alla crescita del capitale immateriale si nota che questo risultato dipende dal ruolo negativo svolto dalle competenze economiche (Com Ec) quali il capitale organizzativo e manageriale, il marketing, la consulenze professionali (-0,12) e in misura minore dal software (-0,02) a fronte di un debole contributo positivo della proprietà intellettuale (Pr Int) (0,04%). Negli altri paesi considerati, invece, è evidente il ruolo trainante del capitale immateriale.
In Francia, il contributo alla crescita del Icd è superiore al contributo del Tcd (0,37 contro 0,31%), mentre in Germania e in Svezia non supera il Tcd ma spiega circa il 15 per cento della crescita della produttività del lavoro. In Francia, Germania e Svezia il ruolo di rilievo del capitale intangibile va ricondotto alla proprietà innovativa che dà conto rispettivamente del 37%, del 67% e del 54% del contributo complessivo del capitale intangibile.

Questi risultati evidenziano la debolezza del nostro Paese rispetto agli altri partner europei che hanno invece saputo cogliere l'importanza dei beni intangibili come nuova fonte di crescita nel contesto economico globale. L'intensificarsi della concorrenza a livello globale, il rapido sviluppo delle nuove tecnologie, l'emergere di nuovi modelli di business e il peso sempre più rilevante dei settori dei servizi, hanno infatti reso il capitale intangibile un elemento fondamentale per lo sviluppo economico. Le conoscenze sono il vero fattore "immobile" dello sviluppo: sempre più il capitale finanziario e il lavoro ad alto valore aggiunto si sposteranno verso regioni dove si concentra la disponibilità di intelligenze esclusive e di competenze molto specializzate.

Per l'Italia, dalla mancata accumulazione di capitale immateriale emerge chiaramente il quadro di un paese che utilizza in modo non efficiente le proprie risorse produttive, e che non ha ancora colto l'importanza di ricorrere a nuove fonti di crescita per garantire lo sviluppo economico futuro.

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