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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2011 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 25 luglio 2011 alle ore 06:39.

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È quasi scontata, nella sua ovvietà, la lezione previdenziale che arriva dalle proiezioni elaborate dalla Ragioneria generale dello Stato nello studio sugli scenari del sistema pubblico di welfare. Sarebbe un errore, però, sottovalutare il messaggio che questi numeri si portano dietro.

Perché forse per la prima volta leggiamo nero su bianco, con tanto di esempi, numeri e percentuali, una cosa che già tutti dovremmo sapere e che ci è stata spiegata decine di volte. E cioè che l'importo della nostra pensione dipenderà (quasi) esclusivamente dai contributi che avremo versato durante la vita lavorativa. Viste in quest'ottica, anche le ultimissime novità previdenziali arrivare con la manovra - approvata in tempi record dal Parlamento una decina di giorni fa - finiscono per sembrare meno ostili: lavoreremo più a lungo, d'accordo, ma almeno la nostra pensione sarà un po' più pesante. Un messaggio per chi lavora. Ma un messaggio forte anche per la politica che con più attenzione deve cominciare a riflettere su chi non lavora o sulla condizione di molti giovani, con carriere discontinue e spesso (lunghi) periodi di inattività. Il sistema contributivo rende la previdenza sostenibile per i conti pubblici. Ma chi la renderà "adeguata" sotto il profilo delle prestazioni?

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