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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2011 alle ore 08:14.

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Il comunicato congiunto dei rappresentanti degli imprenditori e dei lavoratori di tutti i settori dell'economia italiana parte da un presupposto che va accettato, per duro che possa apparire: sebbene la crisi finanziaria abbia avuto origini lontane dal nostro Paese, e sebbene la nostra finanza pubblica l'abbia fronteggiata con maggiore rigore rispetto ad altri Paesi, non c'è da stupirsi se i mercati finanziari ci attaccano: la debolezza della nostra crescita ne è il motivo.
Il debito sovrano europeo è così grande che non può essere preso in carico da nessuna istituzione, nazionale o sovranazionale. Gli strumenti finanziari messi a punto e gli accordi internazionali sono indispensabili, ma solo per dare il tempo di arrivare a una soluzione stabile. L'unica valida nel lungo termine è rappresentata dalla crescita dell'economia reale, che consente di ripagare il debito e, nei casi più gravi, di circoscrivere e dare una prospettiva alle eventuali ristrutturazioni.

Senza crescita reale non c'è rimedio. Ecco perché l'Italia, risparmiatrice e finanziariamente più sana di altri Stati, non riscuote la fiducia dei mercati. La percezione è che il Paese non aggredisce, con sufficiente determinazione, gli intralci a tutti noti che soprattutto negli ultimi dieci anni ne hanno impedito la crescita. I mercati esprimono una sfiducia che guarda al lungo termine, ma la speculazione, intesa in senso tecnico, ne presenta il conto in termini immediati, con rialzi dei tassi e difficoltà di finanziamento che potrebbero determinare un collasso rapido. Ecco perché le parti sociali richiedono, ora e non in futuro, una "discontinuità" che non va letta in politichese, ma va invece molto concretamente tradotta in decisioni che incidano sulla vita di tutti i giorni.

Non ci si deve illudere che le forze vive e competitive del Paese, che pure sono tante, possano bastare a salvarlo. Dieci anni di mancata crescita alle spalle ci dimostrano che non è così: la zavorra è troppa, gli impedimenti immotivati sono paralizzanti. E rischiano di allontanare le imprese e le persone migliori o di affondare quelle che rimangono. La tassazione sul lavoro e sulle imprese legali rimane eccessiva, così come simmetricamente rimangono eccessivi i costi della politica e della pubblica amministrazione allargata, comprensiva cioè delle imprese a controllo pubblico, specie locale, e della sfera che queste governano. I mercati non hanno considerato abbastanza significativa, o credibile, una manovra che rimanda alla prossima legislatura i sacrifici più dolorosi, e forse non ha giovato che si sia trovato un accordo per mantenere le province e che una possibile novità consista nel duplicare uffici ministeriali in giro per l'Italia: l'impressione è che la politica non rinunci a nessuna clientela e che anzi non perda occasione per aggregarne delle nuove.

Il Paese non chiede alla politica di rinunciare al suo ruolo di guida della società, al contrario le chiede di occuparsene.
Solo una politica consapevole e coraggiosa può dare un senso ai sacrifici che la situazione indubbiamente esige e che possono essere accettati soltanto se collocati in un piano che faccia intravvedere il vantaggio di tutti discendere dall'impegno di ciascuno.
I nove impegni per la crescita proposti dal Sole 24 Ore vanno in quella direzione. Persino quello forse più impopolare: la pensione a 70 anni (impegno 2). Non solo un grande risparmio per l'Inps, ma anche un volume rilevantissimo di ore di lavoro, ossia di utilità reale aggiuntiva.

A patto che non rubi posti di lavoro ai giovani, che si possono creare se il risparmio si traduce in minore tassazione del lavoro e delle attività produttive (impegno 1); auspicabilmente introducendo il principio che lavorare più a lungo, come oggi la vita consente, non significa necessariamente nelle stesse mansioni, che andrebbero trasmesse a persone più giovani e presumibilmente più efficaci, e che quindi il lavoro dei non più giovani, come quello femminile, possa costituire una risorsa se adeguatamente gestito. Gli altri impegni, tra cui privatizzazioni, liberalizzazioni, patto di stabilità, trasparenza della Pubblica amministrazione, taglio dei costi della politica parlano di un Paese più orientato a servire i cittadini e in cui chi produce di più e meglio viene premiato. C'è, e ci deve essere, tra i diversi impegni una sinergia che solo la politica può consentire di combinare e consolidare. È necessario che lo faccia, sia pure incoraggiata dalle parti sociali, ma assumendo il ruolo che le spetta e in cui non deve farsi surrogare. Le parti sociali si sono date il coraggio di innovare anche nelle relazioni industriali: un terreno delicato, che esse hanno il diritto e il dovere di esplorare in autonomia, ma dove è anche necessario che poi le istituzioni, in attuazione della Costituzione, formulino cornici regolatorie attendibili.

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