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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2011 alle ore 09:05.
L'ultima modifica è del 30 luglio 2011 alle ore 08:13.

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Nel 2010 – sono dati della Banca d'Italia – Milano ha generato il 10% del Pil nazionale, con un reddito pro-capite di 31mila euro e un tasso di disoccupazione del 3,8 per cento. Negli ultimi 15 anni, soltanto Milano ha costantemente mantenuto questi primati di crescita e di lavoro fra tutte le aree metropolitane italiane. Aggiungo che Milano, nell'ultimo biennio, ha scalato le classifiche internazionali delle "città globali" per internazionalizzazione del proprio sistema imprenditoriale e per attrattività degli investimenti esteri e del turismo ed è oggi tra le prime 15 metropoli del mondo e tra le prime sei in Europa.

Milano è dunque una leva strategica per la crescita economica del Paese. Lo è certamente in termini quantitativi per aumento del Pil e dell'occupazione, ma ancor più come un modello di sviluppo e di coesione sociale dal quale possono oggi dipendere le possibilità dell'Italia d'intraprendere nuovamente un cammino di crescita. Visione e modello di una città che è diventata in questi anni il maggiore fattore di spinta della modernizzazione e dell'apertura internazionale dell'intera economia italiana.

Le prime decisioni assunte dalla nuova maggioranza di centro-sinistra a Milano – nuove tasse e aumenti delle tariffe prima ancora di definire un Piano di sviluppo della città – fanno tuttavia temere che questo "modello" possa essere messo in grave pericolo. Infatti, il brusco passaggio che sta avvenendo a Milano da una politica di finanza pubblica che aveva puntato sulla crescita del sistema produttivo, delle infrastrutture e dei servizi a una politica di bilancio incentrata sul reperimento di risorse per via fiscale e tributaria rischia ora di produrre effetti recessivi per l'economia e l'occupazione.

Milano produce già oggi 7 miliardi di gettito Irpef, più di ogni altra area metropolitana in Italia, ricevendo trasferimenti dallo Stato per soli 700 milioni, di cui 300 vincolati al trasporto pubblico locale. Insistere, con l'applicazione di addizionali che prima d'ora non erano state mai poste, su un aumento della componente fiscale per trovare copertura finanziaria al Bilancio, non ha evidentemente senso logico nel momento in cui occorrerebbe dare maggiore impulso a fattori espansivi.

Se si aggiunge poi che il 70% della ricchezza prodotta dal territorio milanese viene dal settore terziario, cioè dai servizi, dalle professioni, dal commercio, dal turismo, l'utilizzo della fiscalità in modo lineare apre la prospettiva di un indebolimento dei consumi con gravi rischi per l'intera economia locale.

Da Milano viene un'indicazione preoccupante di cui tutti in Italia dovrebbero tenere conto. Se, infatti, Milano è un laboratorio politico che storicamente anticipa le tendenze nazionali, viene naturale chiedersi: l'amministrazione locale di centro-sinistra sta forse tracciando la linea per una nuova politica economica nazionale qualora dovesse cambiare il governo del Paese?

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