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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2011 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 02 agosto 2011 alle ore 08:03.

Il ritorno sulla scena parlamentare del presidente del Consiglio è in sé una buona notizia. L'idea che il governo fosse in sostanza acefalo, a causa dell'assenza del premier nel pieno della crisi finanziaria, era in effetti piuttosto inquietante e accentuava la sensazione di un esecutivo poco credibile. Adesso però si tratta di capire che cosa Berlusconi vorrà dire nelle sue «comunicazioni» di mercoledì alla Camera e al Senato.

Non è certo tempo di ordinaria amministrazione e il capo del governo non potrà limitarsi a difendere la bontà della manovra economica triennale; né potrà sostenere che l'attacco speculativo è rivolto all'area dell'euro nel suo complesso, negando che l'Italia sia esposta più di altri paesi per le particolari ragioni di fragilità in cui si trova.

In altri termini, Berlusconi dovrà dar prova di leadership. E' forse l'ultima occasione che la sorte gli offre per riprendere in mano il bandolo della matassa, se ancora ne è capace. L'opposizione spera naturalmente che non ci riesca e che l'informativa di domani (su cui non sarà possibile esprimere un voto) si concluda in un fallimento. Ma anche gli oppositori devono fare attenzione a come si muovono. Hanno ottenuto una vittoria con la loro iniziativa che di fatto ha obbligato il premier a uscire dal suo mutismo e a prendere la via del Parlamento.

Tuttavia ora si tratta di mettere in campo proposte concrete. E anche di assumersi le relative responsabilità, se le circostanze dovessero richiederlo, senza cullarsi nel mero tatticismo. Non si può dire che su questo punto Pd, Udc e finiani, IdV, Sel e verdi parlino una lingua comune. Il più chiaro (e il più in sintonia con le organizzazioni del mondo economico) sembra essere Casini, che vorrebbe un governo di unità nazionale con un programma d'emergenza. Per il resto, ecco un ventaglio di ipotesi messe lì un po' alla rinfusa: governo tecnico, governo del presidente, governo guidato da un altro esponente della maggioranza, elezioni anticipate... Tutto purchè Berlusconi se ne vada in fretta.

Richiesta legittima, ma che diventa praticabile solo quando lo sconquasso economico-finanziario sui mercati travolge la soglia di guardia. Vero è che il quadro si sta muovendo come mai negli ultimi mesi. Nel momento in cui chiede una forte «discontinuità», il documento delle organizzazioni imprenditoriali, sindacali e del mondo bancario apre uno scenario nuovo.

Obbliga il governo a misurarsi, se è in grado di farlo, sul terreno semi-inesplorato della crescita. Il che significa andare oltre la logica e i criteri del piano economico triennale. Ma chi è in grado di gestire questa fase?
Ci vorrebbe almeno un Tremonti decisamente operativo, in grado di affiancare un Berlusconi di nuovo leader al di là dei loro litigi. Ma il ministro dell'Economia in questi giorni è a sua volta assente, distratto da altri problemi. Tanto che una persona a lui leale, il ministro del Lavoro Sacconi, ha assunto una sorta di supplenza tremontiana nell'intervista di ieri al «Corriere».

Conclusione. Le comunicazioni del governo e i successivi incontri con le cosiddette «parti sociali» rappresentano un'opportunità per il cambio di passo. Ma ci vuole un certo ottimismo per crederlo. Possibile invece che si tratti di semplice manierismo politico, un esercizio di mezza estate fine a se stesso. Sarebbe l'esito peggiore, ma la scelta è nelle mani di Berlusconi.

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