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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2011 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 05 agosto 2011 alle ore 08:01.
L'Italia delle imprese ha fame di tecnici. Elettricisti, falegnami, idraulici, tornitori. Figure a cui serve un'istruzione professionalizzata, training on the job. Figure che mancano in gran parte di quel 29% di aziende nostrane che si dicono "scoperte" nei ruoli chiave.
È quanto emerge dall'indagine «Talent Shortage» di Manpower. Il fatto che sia svolta su un orizzonte globale - 40mila imprese di tutto il mondo - ci consente di aggirare il rischio, sempre in agguato in questi casi, di cadere in argomentazioni di sapore "ideologico". Se cioè il sapere tecnico sia concorrente, prevalente o più necessario di quello umanistico. Se una laurea (lunga) valga più di un diploma (vero). O ancora se una riforma scolastica che si protrae da anni come un cantiere infinito abbia davvero reso meno lontano il mondo del lavoro. In questo caso contano i fatti. Ovvero la domanda delle imprese. Inevasa, in un Paese che conta tassi record di disoccupazione giovanile. Un paradosso del sistema Italia. Come uscirne? La riforma dell'apprendistato è un passo, certo. Ma forse occorre fare ancor più «alla tedesca». Serve un sistema d'istruzione tecnico davvero duale in cui scuola e apprendistato facciano parte di uno stesso percorso. Tradotto: tre giorni sui banchi, tre in fabbrica. Sembra una provocazione (e si accettano risposte). Ma si tenga conto che altrove si fa. E funziona.
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