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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 13:38.
L'ultima modifica è del 07 agosto 2011 alle ore 13:54.
L'Italia sotto tutela della Banca centrale europea. È l'immagine che si è consolidata nelle ultime 48 ore, dopo l'improvvisa e persino drammatica conferenza stampa di Berlusconi, Tremonti e Letta, venerdì sera.
Italia sotto tutela nel momento in cui la Bce impone l'anticipo della manovra, oltre al pareggio di bilancio in Costituzione, smontando la strategia berlusconiana, enunciata appenadue giorni prima. E riducendo a zero l'autonomia del governo italiano.
Del resto, questa tutela è solo la versione estrema e pressante di quel «vincolo esterno» che ha sempre condizionato le mosse dei governi in tutti i passaggi topici del rapporto con l'Europa. Stavolta è la Bce a giocare da protagonista, riecheggiando la severità della Germania. E l'arma in mano ai banchieri di Francoforte è la decisione di acquistare o non acquistare i titoli del debito italiano. Bastone e carota. Ci sarà l'acquisto - e quindi la riduzione dei famosi «spread» - solo se l'Italia anticipa la manovra, attuando un programma di grande rigore, e se accelera il piano di riforme e liberalizzazioni. Più chiaro di così...
Ma cosa significa sul piano politico la tutela della Bce? Nel campo del governo, Berlusconi si dissolve come leader, ma paradossalmente si rafforza a breve termine. I suoi oppositori speravano di vederlo travolto dalla tempesta d'agosto. E lui aveva fatto del suo meglio per accontentarli con il discorso di mercoledì. Adesso però il premier, nel momento in cui accetta la sovranità limitata imposta dalla Banca europea, può tentare di gestire la prossima fase, diciamo così, virtuosa (se riuscirà a essere all'altezza). Berlusconi contraddice se stesso e la sua filosofia politica, ma tant'è: la palla continua a rotolare.
La Bce («non coinvolgibile» secondo il ministro dell'Economia, e invece ampiamente auto-coinvolta) impone al premier di cambiare stile, messaggio e contenuti. Anche di lavorare molto di più. In cambio, lo ingessa a Palazzo Chigi, almeno fino alla prossima crisi. Può durare tutto questo fino al 2013, secondo le speranze berlusconiane? Difficile a dirsi oggi, ma anche l'ipotesi ricorrente di anticipare le elezioni all'anno venturo incontra ostacoli e resistenze, legate alle incertezze che si aprirebbero. Nonché alla debolezza di tutte le maggiori forze politiche. Non siamo la Spagna.
Quanto al Partito Democratico, l'ingresso in campo della Bce crea a Bersani forse più problemi di quanti ne risolva. Dopo aver dato il via libera alla manovra appena poche settimane fa, sia pure con il voto contrario, il Pd è stato preso alla sprovvista dall'anticipo. Giusto chiedere correttivi («chi paga?»), come fanno anche le forze sociali, ma nella sostanza il maggior partito d'opposizione non potrà andare contro la Bce. Casini lo ha già capito, Bersani sta riflettendo.
Ora non è più Berlusconi a dettare le priorità, bensì l'asse Trichet-Draghi: sia sul rigore sia sulla crescita. Di fatto, la Banca europea sta disegnando la cornice di un programma di governo. Con quale maggioranza? Diciamo che l'identikit è quello di un governo di coesione nazionale. Un simile esecutivo - di fine legislatura - potrebbe prendere corpo attraverso una serie di passaggi successivi in Parlamento. Nel corso di questo percorso si porrebbe, ma non adesso, anche il nodo del presidente del Consiglio. Sarebbe logico: un governo con un programma «europeo» avrebbe bisogno, a un certo punto, di un premier molto credibile e in sintonia con l'Europa. Oggi però chiedere le dimissioni di Berlusconi, come fa il Pd, rischia di essere prematuro e di rendere più difficile l'opera della Bce.
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