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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2011 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 09 agosto 2011 alle ore 06:38.
Nella tempesta di questi giorni la volontà dei capitani dell'economia, i rappresentanti delle parti sociali, di salire sulla stessa nave, di fare rotta insieme per risanare il Paese e riportarlo a crescere è un gesto di grande coraggio. È un segnale importante nel momento in cui la debolezza della maggioranza rende difficile l'azione del Governo e che rimane fondamentale anche dopo l'accelerazione nel risanamento dei conti pubblici.
Con l'intervento della Bce sul mercato dei titoli di Stato, il nostro Paese è diventato un vigilato speciale: mettere in atto riforme strutturali rapidamente, oltre che misure di contenimento del debito pubblico, è indispensabile. Il tavolo Governo-parti sociali, riconvocato per domani, è l'unico che possa partorire le misure utili al rilancio della crescita. Ma essere insieme sulla stessa nave non serve se i capitani non riescono a inoltrarsi verso rotte veramente nuove e coraggiose. Per ora non è chiaro che questo possa avvenire.
Il significato dell'azione delle parti sociali è identificare il perimetro di accordo per riforme condivise: soluzioni in grado di conciliare le inevitabili aree di conflitto fra gli interessi costituiti che le parti rappresentano. Questa funzione è propositiva e toglie alla politica il sommo alibi per l'inazione: il rischio di pestare i calli di qualche gruppo d'interesse. Proprio per questo l'utilità dell'azione dipende dalla dimensione del perimetro dell'accordo: un ambito stretto serve a molto poco. E dati i tempi lunghi necessari a varare misure concrete: segnale immediato che molti dei nodi di confronto che tengono immobile il Paese saranno risolti è il solo messaggio che possa rassicurare i mercati.
Quanto è emerso dopo la prima riunione del tavolo non permette ancora d'intravedere rotte coraggiose. Il documento delle parti sociali della settimana scorsa, che per ora rende pubblica l'area di consenso, ha il pregio importante di riconoscere nella crescita dell'impresa attraverso il mercato internazionale la via per lo sviluppo. In questa direzione vanno le proposte d'incentivare e favorire l'investimento in capitale produttivo, i premi di risultato e l'internazionalizzazione. Di tutto questo si è parlato senza fine, ma il fatto che ora sia parte di una strategia condivisa tra imprese e sindacati è un importante passo avanti.
Le buone notizie si fermano qui. Gran parte del testo si concentra soprattutto su quanto dovrebbe fare il Governo. Qualunque riforma non può prescindere dall'azione della politica ed è giusto sollecitarla. Ma è anche essenziale che ci siano indicazioni di cosa le parti sono disposte a fare per agevolare l'azione governativa ed evitare che ci s'incagli sulle secche degli interessi contrapposti. Esse stesse dovrebbero essere propositive per rendere subito chiara l'area di consenso in cui si possa muovere la politica. Si chiede di ridurre la pressione fiscale su imprese e lavoro, recuperando risorse con la lotta all'evasione? Un invito giustissimo ad approvare rapidamente la legge delega fiscale, che può avere un impatto fondamentale sugli investimenti e lo sviluppo d'impresa. Ma nell'inevitabile ulteriore stretta sui conti pubblici saranno necessarie delle scelte. Le parti dovrebbero definire subito priorità condivise su dove iniziare a ridurre la pressione fiscale.
Il secondo limite del documento è la vaghezza con cui affronta il tema fondamentale di competenza delle parti. La riforma del mercato del lavoro è risolta con il vago impegno a continuare a modernizzare le relazioni sindacali. Impegno credibile, dopo l'accordo di giugno tra Confindustria e sindacati e rafforzato dall'indicazione di Sacconi di volerlo trasformare in legge e così renderlo valido erga omnes. Ma non sufficiente. Con un giovane su tre disoccupato, bloccato dalle barriere implicite del dualismo delle regole del lavoro, le parti dovrebbero sedersi al tavolo con la disponibilità a negoziare una proposta di riforma radicale che scambi maggiori opportunità d'ingresso all'impiego a tempo indeterminato con più flessibilità e tutele adeguate in uscita. Solo così si può affrontare il primo nodo per la crescita: l'incapacità del nostro sistema di relazioni industriali di dare prospettive credibili ai giovani. Giustamente le parti hanno rivendicato la conduzione del processo di riforma. La bozza della legge delega sullo Statuto dei lavori è uno schema vago che lascia grandi spazi di manovra. Che le associazioni datoriali e i sindacati usino questi margini per proposte forti.
Il parto di un topolino in questo campo sarebbe gravissimo. Il tavolo di confronto è un'occasione imperdibile per il nostro sviluppo. Da qui, possibilmente già domani, deve emergere subito l'indicazione che il perimetro dell'accordo sarà ampio e certo. Questo messaggio non c'è ancora. Deve arrivare subito, altrimenti il battello comune rischia di rimanere in porto.
mailto:barba@unimi.it
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