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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2011 alle ore 08:19.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2011 alle ore 08:21.

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Il rallentamento della crescita economica mondiale nella prima metà del 2011 si sta trasformando in una seconda recessione globale. Questo è il segnale che giunge dalle Borse dei Paesi avanzati, e che è confermato dagli indicatori anticipatori del settore manifatturiero in molte parti del mondo, incluse le economie emergenti e i Paesi esportatori. Alla base di questa involuzione vi sono due fattori. Innanzitutto, l'economia mondiale deve ancora smaltire la sbornia dell'eccesso di debito accumulato negli anni precedenti.

Come hanno sottolineato le ricerche storiche di due economisti americani, Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, l'indebitamento eccessivo è sempre seguito da almeno un decennio di bassa crescita, in cui consumi e investimenti languono e la disoccupazione resta elevata. Così sta accadendo ora, sia negli Stati Uniti e in Inghilterra, dove famiglie e settore finanziario avevano accumulato troppi debiti, sia nei Paesi dell'area euro coinvolti nella crisi del debito sovrano. In questa situazione le economie restano fragili e qualunque shock imprevisto può far deragliare la ripresa. La Banca centrale europea (Bce) ha sbagliato quando ha iniziato a far salire i tassi, riducendo troppo presto lo stimolo monetario e sopravvalutando la forza dell'economia europea. Il secondo fattore che contribuisce a fermare la crescita mondiale è la mancanza di fiducia. Come era successo nel 2008 dopo il fallimento di Lehman, così ora l'aggravarsi della crisi del debito sovrano in Europa e il declassamento del debito americano stanno scatenando un crollo di fiducia generalizzato. I capitali di tutto il mondo sono alla ricerca spasmodica di investimenti privi di rischio, ma non sanno dove trovarli.

I rendimenti sui titoli di Stato decennali tedeschi sono scesi al 2,35%, un minimo storico, e anche dopo il declassamento di S&P i titoli decennali americani sono scesi al 2,35%. I due fattori si rinforzano a vicenda. Il rallentamento della crescita rende più difficile smaltire il debito e aumenta la rischiosità degli investimenti, diffondendo la crisi di fiducia. E la mancanza di fiducia fa salire il costo del debito per tutta l'economia, come hanno constatato a loro spese le banche italiane, e ciò frena ulteriormente la crescita. Cosa fare per uscire da questo circolo vizioso ed evitare una seconda recessione mondiale? In molti Paesi, inclusi gli Stati Uniti, la politica fiscale può fare ben poco, perché è costretta a rispettare il vincolo di bilancio. Ciò sposta l'onere sulla politica monetaria. Ma la Federal Reserve americana ha già fatto quasi tutto ciò che poteva. È possibile che la Fed annunci prima o poi una terza fase di espansione monetaria quantitativa (il cosiddetto QE3), ampliando ulteriormente l'acquisto di titoli di Stato americani.

Ma con rendimenti già vicini al 2%, è difficile aspettarsi molto da questo tipo di provvedimenti. Rimane dunque soprattutto la politica monetaria europea, che potrebbe svolgere un ruolo cruciale per arginare la crisi ed evitare che l'economia mondiale precipiti in recessione. Il crollo di fiducia sui mercati finanziari europei sta portando a una crisi generalizzata di liquidità, che si trasformerà presto in una grave stretta creditizia. Solo la Banca centrale ha gli strumenti per impedire che ciò avvenga e aumentare l'offerta di forme di investimento prive di rischio. La Bce dovrebbe avere il coraggio di attuare una svolta radicale nella politica monetaria, tornando ad abbassare i tassi d'interesse, e annunciando un programma di sostegno generalizzato ai titoli di Stato dell'area euro. La finzione di sterilizzare gli acquisti dei titoli di Stato dovrebbe inoltre essere abbandonata, in modo da attuare una vera e propria espansione quantitativa, così come ha fatto e sta facendo la Fed. Gli acquisti recenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli sono un passo in questa direzione, ma rischiano di essere inutili se sono accompagnati dalla percezione che saranno presto abbandonati e che non vi è una vera svolta nella politica monetaria.Un'obiezione è che in questo modo la Bce farebbe salire l'inflazione e deprezzare l'euro. Ma non è affatto detto che ciò accadrebbe, quantomeno non in misura rilevante. In ogni crisi di liquidità aumenta la domanda di moneta, e un'espansione monetaria non crea inflazione. Inoltre, oggi un po' d'inflazione aiuterebbe a smaltire il debito, e rappresenta una via d'uscita, non una minaccia.

Per la stessa ragione, non è detto che il cambio si svaluterebbe, soprattutto se l'espansione monetaria fosse coordinata a livello mondiale. E comunque, un euro più debole potrebbe solo aiutare la crescita. Purtroppo è poco probabile che le autorità monetarie europee agiscano in questo modo, o che lo facciano tempestivamente. La Bce è costretta dalla camicia di forza di un mandato inadeguato alle circostanze eccezionali che stiamo attraversando. E buona parte dell'opinione pubblica tedesca non ha capito (o non vuole capire) l'insostenibilità della situazione e l'urgenza di una svolta. Prepariamoci dunque a un autunno ancora peggiore di questa estate turbolenta. E l'Italia? Una recessione mondiale renderebbe tutto ancora più difficile, perché verrebbe a mancare il sostegno delle esportazioni. Anche le nostre imprese più dinamiche si troverebbero intrappolate tra una domanda mondiale carente e una stretta creditizia incipiente. È sempre più urgente attuare un programma che affronti subito e simultaneamente i due nodi cruciali: crescita e conti pubblici. L'agenda è già stata più volte ricordata da questo giornale, a cominciare da una riforma fiscale che abbassi i contributi sociali compensando la perdita di gettito con un aumento dell'Iva, un'accelerazione della riforma delle pensioni e un programma incisivo di liberalizzazioni. Ogni giorno perso sarà pagato sempre più caro.

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