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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2011 alle ore 08:30.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2011 alle ore 09:15.

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Stiamo vivendo i giorni cruciali di una crisi che può cambiare il volto e gli assetti dell'Italia politica. Con il governo di Roma sotto tutela della Banca centrale europea, attraverso l'asse Trichet-Draghi, sono in tanti a rischiare grosso: nella maggioranza, ma anche tra le diverse opposizioni presenti in Parlamento e nel Paese. Sbagliare le mosse può costare molto caro, perché non c'è dubbio che qualcosa sia cambiato per sempre.

Un certo stile politico, ad esempio. Il centrodestra berlusconiano, abituato a galleggiare sui problemi e a promettere riforme che non si realizzano mai, si trova all'improvviso ai piedi del muro. O riesce a scalarlo, ossia a mettere in pratica le misure drastiche, per certi versi drammatiche, indicate dalla Bce, oppure perde qualsiasi legittimazione. Proprio l'opinione pubblica che negli anni ha sostenuto Berlusconi con il voto, oggi appare perplessa e scettica. Si aspetta che il presidente del Consiglio si dimostri all'altezza della crisi europea, se ne è capace. E in fondo Umberto Bossi ha intuito la posta in gioco, quando ha definito «una cosa positiva» il protettorato della Bce sul governo di cui egli stesso fa parte. In altri termini, se Berlusconi e i suoi non riescono a rispondere alla sfida riassunta nel binomio "rigore più crescita", la coalizione Pdl-Lega è destinata a dissolversi nel disastro. Comincerà un'altra storia, con nuovi protagonisti: ma in forme che oggi non sono prevedibili.

Di certo sappiamo che anticipare la manovra al 2013 equivale a un annuncio, il cui contenuto va adesso individuato in pochi giorni. Servono quei venti miliardi di euro che vogliono dire lacrime e sangue. Con due conseguenze. Primo, dal governo ci si attende assoluta chiarezza e determinazione: oggi con le parti sociali, domani in Parlamento, nei prossimi giorni nel Consiglio dei ministri che dovrà varare i provvedimenti. Secondo, l'esecutivo e il premier dovranno dimostrarsi capaci di gestire sul piano politico la crisi, evitando per quanto è possibile lo scontro sociale e parlamentare. Se esistono le «resistenze caparbie» denunciate da Sacconi, questa è l'ora di superarle con saggezza politica. La coesione nazionale più volte invocata da Giorgio Napolitano adesso è davvero necessaria e richiede il massimo senso di responsabilità a tutti. Del resto anche l'opposizione è ai piedi di un muro.

Bersani può scegliere fra due strade. Può abbracciare la posizione della Cgil, come sembra voler fare quando afferma «se intendono far pagare la manovra alla povera gente, dovranno vedersela con noi». Oppure può chiedere correttivi realistici, tenedo presente che il vincolo della Bce vale per la maggioranza, ma anche per l'opposizione. Reclamare oggi le dimissioni di Berlusconi significa più che altro cercare un alibi per mascherare le proprie incertezze. Berlusconi può cadere, ma solo se non è all'altezza di una situazione che richiede maggiore rigore. Non minore, come pensa una parte della sinistra. Non a caso il leader dell'Udc sta allargando il suo spazio di manovra, mentre quello del Pd si stringe. Casini (e in fondo anche Fini, un po' dietro le quinte) si dichiara pronto a sostenere misure severe in nome dell'interesse nazionale e senza entrare in maggioranza. È la posizione più abile in questo momento. Un sostanziale punto di equilibrio in un passaggio decisivo.

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