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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2011 alle ore 08:40.

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Misure concrete da approvare già nelle prossime ore: i mercati ormai non aspettano altro. Il tempo delle parole è finito. Perciò è difficile sottrarsi alla delusione per la mancanza di contenuti da parte del Governo nell'incontro di ieri con le parti sociali.

Va detto che un tavolo con diverse decine di persone non è il luogo più adatto per entrare nel merito di interventi delicati e dolorosi. Ma di certo la vaghezza di esposizione che ieri ha caratterizzato il premier e i ministri non potrà essere replicata questa mattina da Giulio Tremonti in Parlamento. Serve concretezza, oggi, se si vorrà evitare un'altra drammatica giornata sui mercati finanziari. Quella concretezza che è mancata in queste ultime settimane. E che dovrà tradursi immediatamente (prima di Ferragosto) in un decreto per il rigore e la crescita. Perché solo così l'Italia potrà sottrarsi alla morsa di mercati che hanno smesso da tempo di concederle deleghe in bianco.

È un merito delle parti sociali se in pieno agosto il Governo ha rinviato le ferie e il Parlamento è tornato a riunirsi. Quando tra Palazzo Chigi e Via XX Settembre si ribadiva ancora l'intangibilità della manovra, rinviando a settembre le misure integrative, sono stati i rappresentanti di imprese, lavoratori e mondo finanziario a incalzare l'Esecutivo. Poi è stata la volta della Bce e dei nostri partner europei. Ma sono stati soprattutto i mercati, bruciando ancora ieri 22 miliardi di euro a Piazza Affari, a far capire al Governo l'urgenza dei nuovi correttivi. Ora è il momento di fare. La condivisione è importante. E il metodo del confronto va portato avanti ben oltre questa difficile estate. È un patrimonio che non va disperso. Ma il Governo ha la responsabilità di decisioni immediate. Anche se dolorose. E difficili da accettare per molti.

Un'avvertenza: qualunque sia il decreto inizi da un corposo articolo sui tagli ai costi della politica. Partiti, Parlamento, assemblee regionali e comunali, province, aziende locali, enti più o meno colonizzati dai partiti: serve una sforbiciata draconiana per far comprendere che il manovratore fa sul serio, che il primo a fare dei sacrifici è colui che li chiede. Ci sono profonde ragioni di equità a suggerire questo passo. Ma anche ragioni economiche legate alla fiducia e ragioni politiche: solo in questo modo, infatti, ogni altro intervento sarà accettabile da parte di chi lo subisce. A cominciare dalla pensioni. Solo una politica credibile, che taglia innanzitutto se stessa, può chiedere ai sindacati e agli italiani un nuovo sacrificio su questo fronte. Un sacrificio, tuttavia, necessario. L'Italia non può permettersi un'età pensionabile più bassa di partner europei ben più affidabili sul fronte dei conti pubblici. E non ci sono ragioni per mandare in pensione chi, a sessant'anni, è nel pieno delle proprie capacità lavorative.

Per gli addetti a funzioni usuranti, evidentemente, va fatta valere una deroga (e su questo c'è già un decreto che attende un'ultima firma al ministero dell'Economia). Ma per tutti gli altri perché non prevedere la possibilità di lavorare oltre i 65 anni? Evitando, tra l'altro, di pesare sui contributi dei lavoratori più giovani che mai potranno godere dei trattamenti di chi oggi va in pensione a 60 anni. Solo le ragioni politiche del consenso elettorale possono far rinviare ancora un intervento su questo punto. Ma deve essere chiaro che di questo si tratta e non di altro. Un intervento sulle pensioni permetterebbe, peraltro, di ridurre quel cuneo fiscale e contributivo che oggi grava su le buste paga indebolendo l'occupazione e la competitività delle imprese. Solo accompagnando il rigore con la crescita, infatti, l'Italia si tirerà fuori dalle difficoltà di oggi. In questo senso anche una rimodulazione delle aliquote Iva potrebbe portare utili risorse all'alleggerimento del peso del fisco sulle aziende e sul lavoro.

Favorire un processo di privatizzazione delle società che gestiscono i servizi locali sarebbe un altro modo per tenere insieme il risanamento dei conti pubblici e le ragioni dello sviluppo, liberando energie nuove nell'attività economica. Eppoi vere liberalizzazioni e meno burocrazia. Senza dimenticare la lotta all'evasione fiscale, che resta la priorità per un Paese che batte ogni record di economia sommersa. Sono misure di cui si parla da ormai un decennio. Oggi vanno messe in atto. Senza le furbizie della politica, perché questa volta la correzione dei conti deve essere davvero credibile. Ma anche ricordando che non c'è rigore senza crescita economica.

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