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Questo articolo è stato pubblicato il 15 agosto 2011 alle ore 08:22.
L'ultima modifica è del 15 agosto 2011 alle ore 08:51.

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I vantaggi della riforma in termini di trasparenza e semplificazione dovrebbero compensare sin da subito i maggiori oneri fiscali.
Intanto si smorzerà l'interesse per i prodotti essenzialmente fiscali: pronti contro termine; titoli in valuta "swappati"; combinazione di contratti derivati che replicano, nella sostanza, un'obbligazione; prestiti obbligazionari "dedicati"; polizze "contenitore".

Inoltre, strumenti di raccolta molto semplici (e quindi facili da capire anche per i risparmiatori meno preparati) e personalizzabili saranno rivitalizzati: ci si riferisce ai depositi di risparmio vincolati e ai certificati di deposito, ormai praticamente scomparsi, da quando il legislatore fiscale li ha equiparati ai conti correnti, con imposizione al 27 per cento.

Ci saranno effetti certamente benefici in termini di concorrenza fra operatori finanziari, che si confronteranno sui "tassi lordi" (e cioè sulla loro effettiva credibilità ed efficienza) anziché sui tassi netti (cioè sulla loro fantasia nella pianificazione fiscale).

Poichè l'aliquota unica, ove applicabile, sarà estesa agli investitori non residenti e alla tassazione dei capital gain, si ridurrà la convenienza degli arbitraggi spesso promossi dai fondi d'investimento esteri, che sono ancora oggi soggetti (peraltro in modo discriminatorio) alla ritenuta del 27% sui dividendi di fonte italiana.


Con l'occasione viene - opportunamente - soppressa la maggiorazione del 20% sui proventi dei titoli depositati in garanzia di finanziamenti erogati alle imprese e l'analogo prelievo previsto in caso di rimborso anticipato di obbligazioni con scadenza non inferiore a 18 mesi. Inoltre scompare la ritenuta maggiorata sugli interessi corrisposti a società locolizzate in Paesi "black list".

"Fatto 30", come si usa dire, è però necessario che il legislatore abbia il coraggio di "fare 31". In che modo? Cinque sono le possibili mosse:

1) abrogare la distinzione fra partecipazioni qualificate e non qualificate che probabilmente produrrà, dopo l'unificazione delle aliquote, più incertezze operative che gettito (in alcuni casi le qualificate sarebbero tassate meno delle non qualificate);

2) abrogare la distinzione fra obbligazioni e titoli similari e titoli atipici (il decreto risolve il caso dei prestiti strutturati delle banche, ma non si comprende ormai più il senso della distinzione in generale);

3) eliminare l'indeducibilità degli interessi passivi su obbligazioni di emittenti privati diversi dai cosiddetti "grandi emittenti" eccedenti "tasso soglia" previsto dall'articolo 26, comma 1 del Dpr 600/1973.

4) rinunciare all'aliquota differenziata per i titoli di Stato italiani ed equiparati, anche perché fra gli equiparati vi sono gli enti pubblici territoriali italiani discriminando gli omologhi enti esteri. La Commissione europea, per un caso simile, ha già puntato l'indice sulla legislazione della Bulgaria (IP/09/289);

5) introdurre, invece, come suggerito recentemente dal l'Abi, una tassazione di favore per gli investimenti a lungo termine (per esempio, cinque anni).

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