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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2011 alle ore 08:23.

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Il dibattito ruoterà intorno ai diritti di voto. La Bce funziona in base al principio di un voto per Paese; il Fmi assegna i diritti di voto a seconda dei contributi di capitale da parte dei Paesi. Quale sistema dovrebbe prevalere? Il primo potrebbe dare carta bianca ai Paesi debitori che si sentirebbero autorizzati a incrementare i propri deficit; il secondo potrebbe accentuare lo scenario di un'Europa a due velocità. Un compromesso sarà necessario.

Dal momento che il destino dell'Europa dipende dalla Germania, e poiché l'emissione degli Eurobond metterà il credito della Germania a rischio, il compromesso dovrà chiaramente partire dalla Germania. La Germania ha però una strana idea di politica macroeconomica: vorrebbe che il resto d'Europa seguisse il suo esempio. Ma ciò che funziona per la Germania non funziona necessariamente per gli altri Paesi: nessun Paese può trovarsi in surplus commerciale cronico senza che altri Paesi incorrano in deficit. La Germania deve proporre regole che possano essere facilmente seguite dagli altri Paesi.

Tali regole devono consentire una graduale riduzione dell'indebitamento, oltre a permettere ai Paesi con un alto tasso di disoccupazione, come la Spagna, di continuare a perseguire il disavanzo di bilancio. Le regole che coinvolgono il raggiungimento dei target per l'aggiustamento ciclico dei deficit possono portare a termine gli obiettivi appena menzionati. Le regole devono altresì riconoscere i propri limiti, e devono quindi restare aperte ad eventuali modifiche e migliorie.

Bruegel, il think tank con sede a Bruxelles, ha proposto che gli Eurobond costituiscano il 60% del debito degli Stati membri verso l'estero. Considerati gli elevati premi di rischio attualmente predominanti in Europa, questa percentuale risulta troppo bassa per dare pari opportunità a tutti. A mio avviso bisognerebbe emettere Eurobond fino al limite che fisserà il board. Maggiore sarà il volume di euro-obbligazioni che un Paese cercherà di emettere, più severe saranno le condizioni imposte dal board. Il board non dovrebbe avere problemi a imporre la propria volontà, perché negare il diritto di emettere eurobond sarebbe un potente deterrente. Occorre aumentare la sorveglianza in modo tale da avvisare prontamente i Paesi in caso di violazione.

Tutto ciò ci porta dritti al terzo problema irrisolto: cosa succede se un Paese non è disposto o non è in grado di attenersi alle condizioni concordate? L'incapacità di emettere Eurobond potrebbe tradursi in un default disordinato o in una svalutazione, che in assenza di un meccanismo di uscita, avrebbe conseguenze catastrofiche. Un deterrente che risulta troppo pericoloso da intraprendere non è credibile. La Grecia ne è un chiaro esempio.
Dei tre problemi quest'ultimo è il più difficile da risolvere, e non pretendo di avere una soluzione a portata di mano. Molto dipenderà dal modo in cui si risolverà la crisi greca. Si potrebbe ideare una via di uscita ordinata per un piccolo Paese come la Grecia, senza tuttavia applicare tale soluzione a un Paese grande come l'Italia. In tal caso, il sistema degli Eurobond dovrebbe prevedere precise sanzioni che non comportino eventuali vie di fuga - un chiaro esempio potrebbe essere un ministero delle Finanze europeo che abbia legittimità politica e finanziaria e che emerga dall'intenso dibattito di questi ultimi tempi e da una presa di coscienza da parte di tutti (soprattutto dalla Germania).

Una cosa è certa: i tre problemi di cui abbiamo parlato devono essere risolti affinché l'euro possa sopravvivere. Ma i mercati finanziari potrebbero non offrire la tregua necessaria per mettere in atto nuovi accordi.
Sotto la costante pressione dei mercati, il Consiglio europeo potrebbe trovarsi nelle condizioni di dover trovare un accordo tappabuchi per evitare la calamità. Potrebbe autorizzare la Bce a concedere prestiti direttamente ai Governi che non possono contrarre prestiti dai mercati a condizioni ragionevoli fino a quando non sarà introdotto il sistema degli Eurobond.

George Soros è presidente del Soros Fund Management e dell'Open Society Institute.

Copyright: Project Syndicate, 2011.

Traduzione di Simona Polverino

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