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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2011 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 17 agosto 2011 alle ore 09:03.

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Visto con l'occhio dei mercati, l'atteso summit tra Merkel e Sarkozy si è svolto ieri su Marte, mentre sul pianeta Terra infuriava una grave crisi finanziaria e calava una stagnazione economica. I leader di Francia e Germania non hanno promosso il rafforzamento del fondo di stabilità finanziaria e hanno rinviato a fine crisi l'eventuale adozione degli eurobond. Hanno usato una retorica rotonda sull'integrazione futura, ma hanno chiuso occhi e orecchie sui problemi di oggi.

La debolezza della Francia, che rischia di perdere la tripla A, ha schiacciato la posizione di Sarkozy su quella minimalista della Merkel. L'unico risultato rilevante per la crisi attuale è stato che la cancelliera ha offerto una sponda a Sarkozy il cui obiettivo è evitare la sensazione di una distanza tra i due paesi, per non isolare la fragilità fiscale francese. Anche l'interessante progetto di una comune imposizione sulle imprese francesi e tedesche serve soprattutto a rafforzare l'immagine di uno spazio economico unico attraverso il Reno.

Le proposte avanzate ieri sono suggestive ma poco concrete. Quella di un "governo economico europeo" si riduce a incontri mensili tra gli "Heads", i capi di Stato e di governo dei 17 che di fatto si riuniscono quasi mensilmente già da tre anni. L'idea di un'autorità tecnica e sopranazionale, come la Commissione, a capo delle scelte comuni è stata respinta.

La "regola d'oro", cioè la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, è un sostituto purtroppo rozzo della credibilità politica. In questo quadro di salvaguardia delle prerogative nazionali sarà da vedere come verrà realizzata la tassazione delle transazioni finanziarie, un'iniziativa in sé interessante, ma su cui pesano incognite pratiche e forti interessi nazionali.

È sorprendente che un messaggio di generica ambizione sia venuto a poche ore dagli sconfortanti dati sulla stagnazione dei due paesi nel secondo trimestre dell'anno. L'arresto delle economie tedesca e francese è un riflesso della debolezza globale, ma anche dell'interdipendenza dei cicli economici in Europa. Rivela che è forse una finzione separare paesi deboli e paesi forti quando si condivide l'appartenenza alla stessa moneta e, come conseguenza, a una stessa realtà politica. La preoccupata astinenza dei consumatori tedeschi e degli investitori francesi è in parte conseguenza dell'incertezza prodotta dalla crisi nell'euro area. Non a caso la congiuntura è peggiorata in tutti i paesi a tripla A. Quale stabilità di reddito è garantita al contribuente tedesco dal pareggio di bilancio tra qualche anno se da una settimana all'altra può essere chiamato a salvare il governo greco o addirittura quello italiano? Quale rendimento deve avere un investimento in Francia, se il credito delle banche si ferma di colpo e i costi di finanziamento aumentano da un giorno all'altro?

Vista in questa luce, la lentezza della risposta europea è un fattore della stagnazione attuale. A sua volta il rallentamento delle economie aggrava la crisi: rende più difficili le politiche di austerità dei paesi indebitati e in ragione di ciò aumenta l'incertezza sul futuro dell'euro area.

Per uscire da questo circolo vizioso sarebbe necessario avere la famosa botte piena - una credibile disciplina di bilancio nel medio-lungo termine - e la moglie almeno alticcia - un po' di stimolo economico subito per uscire dalla stagnazione.

Purtroppo le risposte convenzionali non sono disponibili: la Banca centrale europea dovrebbe fare un'inversione a U della propria politica di normalizzazione dei tassi (per altro già sospesa), la quale però rende politicamente accettabile l'interventismo con cui la Bce conduce le operazioni straordinarie di acquisto dei titoli pubblici dei paesi in crisi. Quanto a una politica fiscale di stimolo, oltre ad avere tempi lunghi ed effetti incerti, rischia di essere controproducente se condotta proprio nel mezzo di una crisi del debito.

Esiste una risorsa istituzionale in grado di offrire un allentamento rapido della tenaglia fiscale e al tempo stesso una disciplina di lungo periodo. Ma nella conferenza stampa di ieri Merkel e Sarkozy l'hanno allontanata. Si tratta della ricetta avanzata nel 2010 dal think tank Bruegel di emissione di bond comuni europei in corrispondenza però solo di una quota dei debiti pubblici nazionali. La proposta originaria, diversa da quella degli eurobonds, prevedeva titoli comuni europei fino al limite del 60% del debito pubblico di ogni paese.

Si trattava di una quota troppo elevata inizialmente. Sarebbe oggi più logico proporre un limite più basso, pari al 30-40% del pil. Questi bonds a tripla A ridurrebbero l'onere a carico di tutti i paesi indebitati e darebbero quindi subito uno stimolo alle economie. Rappresenterebbero inoltre un segno di determinazione politica comune che disperderebbe l'incertezza sulla tenuta dell'euro. Manterrebbero infine la disciplina sul lungo termine sui paesi indebitati che continuerebbero a pagare tassi elevati sul resto del loro debito e avrebbero un incentivo a portarlo verso la soglia dei nuovi bonds. Partire da una soglia bassa come il 30% consentirebbe di mettere in moto un meccanismo-calamita di incentivo e di integrazione: tanto maggiori fossero i miglioramenti fiscali e tanto più potrebbe essere alzata la soglia dei bond comuni in rapporto al pil, fino all'obiettivo massimo del 60%. Con questa formula le obiezioni tedesche cadrebbero. Se la Bundesbank calcola che convertire l'intero debito europeo in eurobonds costerebbe alla Germania 7 miliardi di euro all'anno in termini di più costoso servizio del debito tedesco (i tassi medi aumenterebbero), con una soglia di partenza bassa, il livello dei tassi tedeschi potrebbe addirittura diminuire grazie all'effetto liquidità dei nuovi bond e alla maggior certezza sul futuro dell'euro area.

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