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Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2011 alle ore 11:06.
L'ultima modifica è del 20 agosto 2011 alle ore 11:07.

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Il calendario elettorale è forse il peggior nemico di questa crisi sul debito sovrano. Il vertice del 16 agosto tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy ha mostrato due leader statici nel maldestro tentativo di sembrare dinamici. Nessuno, da loro, si aspettava miracoli, ma nemmeno quel vuoto di idee riciclate che li ha portati invece a snobbare - strumentalmente - l'unica medicina in grado di curare almeno i sintomi della malattia contratta dall'Unione monetaria: gli eurobond.

Il Sarkozy dell'altro giorno è molto diverso dal Sarkozy che nell'ottobre 2008, come presidente di turno dell'Unione europea, riuscì a convincere una riluttante (anche allora!) cancelliera tedesca a non tergiversare oltre il lecito sul piano salvabanche in piena crisi Lehman. Fu il suo capolavoro di politica estera, almeno in termini di impulso e coordinamento. Il 12 di quello stesso mese, una domenica, al vertice dell'eurozona di Parigi contribuì davvero ad allontanare dal baratro il sistema finanziario della Uem.

Oggi si è invece 'merkelizzato', e guarda con rinnovata preoccupazione all'opinione pubblica nazionale perché a otto mesi dalle presidenziali deve somministrare al Paese una massiccia dose di tagli alla spesa pubblica. Non ha più alcun interesse a tirare la Merkel per la giacca, a scuoterla, anche se sa benissimo che la casa (europea) rischia nuovamente, non meno che nel 2008, di bruciare. La scadenza che lo interessa è il 22 aprile 2012, primo turno di un'elezione dove rischia seriamente di perdere, da sinistra e da destra, nonostante il suo peggior nemico, Dominique Strauss-Kahn, sia fuori gioco.

È venuto così a mancare l'elemento dinamico dell'asse franco-tedesco, che come ai tempi di Schröder e Chirac torna ad assomigliare a una cooperativa di mutuo soccorso piuttosto che al tradizionale motore dell'integrazione europea. Non urtare la suscettibilità di Angela Merkel in questo frangente, non fare nulla per piegarla alla causa - in fondo comune - degli eurobond, significa garantirle tacita complicità sulle delicate questioni di politica interna e attenuare il senso d'urgenza e drammaticità della crisi.

La cancelliera, invece, resta fedele a sé stessa. Come nel 2008 non si scompone. È prudente di natura, riflessiva, «more a follower than a leader», più abituata a seguire che a mostrare la strada, secondo la definizione dell'Economist. Deve fare i conti con una impopolarità crescente, una maggioranza di Governo poco coesa, e il mal di pancia cronico di un'opinione pubblica che non vuole sacrificare un grammo del proprio benessere e della propria sovranità nazionale per salvare i Paesi meno virtuosi dell'Unione monetaria. Somatizza le ansie di una Germania riluttante e ripiegata su sé stessa che ancora non se la sente di unire la leadership economica a quella politica.

Il 76% dei tedeschi, secondo un sondaggio dell'istituto Emnid, non vuole gli eurobond. Non li vuole nemmeno, se mai ci fossero dubbi, Jürgen Stark, membro del board della Bce, che in un'intervista ad Handelsblatt ha fuso il pensiero del tecnocrate con quello del popolo: «È un trasferimento della solvibilità dai Paesi più stabili e solidi a quelli che hanno una situazione fiscale più debole. Per questi ultimi diventerà più economico finanziarsi, ma per gli altri, quelli con un rating migliore, sarà più costoso. Gli eurobond non risolvono i problemi, creano solo gli incentivi sbagliati».

E anche se il pensiero unico tedesco in materia comincia a vacillare, la conversione dell'attuale classe dirigente attiene alla sfera dei miracoli. Si torna ad Angela Merkel, donna di moderate passioni, decisionismo incrementale e riformismo tutto sommato tiepido, che a dirla tutta è stata più beneficiaria che non artefice della prodigiosa crescita economica della Germania negli ultimi anni. L'appuntamento elettorale per lei è un po' più in là nel tempo, ma neanche tanto, settembre 2013 per le federali.

C'è il rischio di una rovinosa staffetta di reciproco puntellamento con Sarkozy proprio quando l'Europa, per garantire lunga vita e stabilità all'Unione monetaria, ha bisogno di decisioni forti e rapide, non di vertici inconcludenti e direttori. Peccato che Sarkozy e la Merkel, per ragioni simmetriche e una sfortunata congiunzione astrale del calendario elettorale, non siano in condizioni di esercitare il coraggio dell'impopolarità. Ciò di cui avrebbe bisogno un'Europa che rischia nuovamente di avvicinarsi al baratro di tre anni fa. Nuovi Kohl e Mitterrand cercansi, disperatamente.

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