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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2011 alle ore 10:32.
L'ultima modifica è del 23 agosto 2011 alle ore 10:32.

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In guerra è sempre prematuro dichiarare "missione compiuta", ma la campagna libica della Nato, con egida Onu e guidata da dietro le quinte, dall'America di Barack Obama, sarà ricordata come una delle operazioni militari più efficaci della storia recente.

Ora è cruciale gestire il post Gheddafi e per questo preoccupa l'assenza di un piano di intervento internazionale nel caso le cose a Tripoli dovessero prendere una piega negativa. Vedremo come si comporterà la nuova leadership libica, se cesseranno le violazioni dei diritti umani e se reggerà un'alleanza basata sull'antigheddafismo, ma fin qui siamo di fronte a un capolavoro politico di Obama e a un successo militare americano condiviso con gli altri player mondiali e regionali, compreso il nostro paese che è stato tra i primissimi a riconoscere in modo bipartisan il governo provvisorio di Bengasi.

Con la giustificazione umanitaria di fermare un'imminente carneficina zenga zenga, vicolo per vicolo a Bengasi, Barack Obama è riuscito a conquistare una risoluzione delle Nazioni Unite per istituire una no-fly zone, e poi a ottenere il via libera della Lega Araba, la partecipazione non scontata della Francia e dell'Italia, l'ampliamento di fatto del mandato Onu fino al vecchio regime change caro ai bushiani, l'addestramento dei ribelli, l'annientamento delle difese di Gheddafi e, in soli sei mesi, la caduta di Tripoli.

Il mondo occidentale è rimasto unito, le piazze arabe hanno applaudito, l'opinione pubblica globale non ha fiatato malgrado il rinnovato interventismo americano. Meglio Obama non poteva fare. Eppure secondo l'ambasciatore Sergio Romano, sul Corriere della Sera di ieri, non ci sono vincitori e addirittura «l'Occidente ha bruciato ormai la carta estrema dell'intervento militare». Un giudizio impegnativo se si considera che è stato espresso nel giorno del disfacimento del regime libico a opera di un'armata addestrata sul campo dalle forze speciali Nato, con 19.751 missioni aeree, 7.459 raid aerei (anche italiani) e 2.276 navi fermate o controllate dalla US Navy.

La guerra è stata combattuta dall'alto, con gli aerei senza pilota, senza vittime alleate, nell'illusione di poterla fare senza sporcarsi le mani, ma alla fine ciò che conta è il risultato. Se Gheddafi fosse stato lasciato libero di sterminare gli insorti sarebbe diventato un modello pericoloso per gli altri despoti alle prese con le rivolte interne, un esempio negativo rispetto ai dittatori dimissionari di Egitto e Tunisia. L'intervento in Libia però non ha spaventato la Siria. Bashar Assad non ha esitato a premere il grilletto contro i suoi stessi concittadini, anche grazie al sostegno iraniano e all'ingenuità di chi lo considerava un «riformatore». La caduta di Tripoli è una brutta notizia per Gheddafi, ma anche per il tiranno siriano.

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