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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2011 alle ore 12:06.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2011 alle ore 08:13.

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John Plender, un editorialista del Financial Times, sembra sorpreso per una cosa che è diventata palese: i mercati se la prendono solo con quei Paesi che non hanno più una loro valuta. In un articolo pubblicato il 16 agosto Plender scrive: «La logica di fondo è che nessun Paese può finire in default finché conserva il diritto di stampare moneta.

Ma sembra inspiegabile che i mercati obbligazionari, tradizionalmente spaventati dall'inflazione, puniscano un Paese per il fatto di non essere più in grado di svilire la propria valuta».
Plender non sembra a conoscenza della spiegazione, piuttosto convincente, che offre l'economista del Center for European Policy Studies, Paul DeGrauwe. La risposta in parte è che i Paesi dell'euro sono alle prese con un grave problema di competitività, che può essere risolto solo da una severa deflazione che aggraverebbe ulteriormente i loro problemi di debito.

La ragione principale, però, è l'idea che i Paesi senza il potere di stampare moneta sono esposti a crisi che si alimentano da sole in misura maggiore rispetto a quei Paesi che hanno ancora una loro valuta. Il punto è che i timori di un default, spingendo in alto i tassi di interesse sui titoli di Stato, possono a loro volta innescare il default, e che a questo proposito c'è un aspetto da "passaggio del Rubicone": una volta che un Paese oltrepassa quella linea probabilmente i suoi creditori devono aspettarsi pesanti perdite. Un Paese che ha una valuta propria non è nella stessa situazione: magari è costretto a lasciare crescere l'inflazione, ma non è obbligato a oltrepassare nessuna linea rossa. Per questo l'America non è la Grecia, e per questo è una follia che il Governo britannico imponga alla nazione un'austerity in stile euro.

Barbuti economisti Usa alla riscossa
Secondo un articolo pubblicato il 15 agosto su Bloomberg: «Adam Posen, policy maker della Banca d'Inghilterra, che da 11 mesi chiede a gran voce misure di stimolo più aggressive, sta cominciando a portare dalla sua parte gli altri alti funzionari della politica monetaria di Oltremanica, che stanno valutando la necessità di un'ulteriore tornata di espansione quantitativa per combattere il pericolo della crisi europea. Ora che nessuno dei membri del Comitato di politica monetaria della Banca d'Inghilterra vuole un incremento dei tassi di interesse, dopo che Spencer Dale e Martin Weale hanno cambiato posizione, la discussione all'interno del Comitato si è spostata sui temi proposti da Posen». Bravo Adam! Adam Posen ha studiato il Giappone durante gli anni 90 e fa parte di quel ristretto circolo di economisti (cui si onora di appartenere anche il sottoscritto) che temevano che il caso giapponese potesse essere un presagio di quello che aspettava gli altri Paesi industrializzati. E devo dire che la Banca d'Inghilterra in questo momento sta dando prova di grande saldezza, continuando con le sue politiche espansive nonostante un'impennata dell'inflazione che sa essere temporanea, ma che comunque la sta mettendo sotto pressione. C'è da dire anche che i membri del Comitato di politica monetaria laggiù non devono aver paura di essere accusati di alto tradimento o di essere linciati da folle texane.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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