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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2011 alle ore 08:27.

Per le Province sta per suonare la campana dell'ultimo giro. È la prima volta dall'inizio della legislatura che la maggioranza si esprime sull'argomento parlando con una voce sola. Finora agli istinti "soppressivi" del Pdl avevano sempre fatto da contraltare quelli "conservativi" del Carroccio. Tant'è che ogni tentativo di potatura (totale o parziale) è sempre fallito.

Entrando e uscendo con la stessa velocità da più di un provvedimento. Stavolta la storia potrebbe avere un finale diverso. Purché la scelta di inserire nel Ddl Calderoli una norma che elimini l'intero livello provinciale e ne affidi i compiti a quello regionale non si riveli una mera pratica dilatoria. È vero che per un intervento organico sugli enti di area vasta la via di una riforma costituzionale era quasi una tappa obbligata poiché l'articolo 114 della Costituzione stabilisce che «la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato». L'importante però è che non si sia scelta questa soluzione solo per allungare i tempi, confidando nella doppia votazione in ogni Camera e nella maggioranza qualificata dei due terzi richiesti per innovare la Carta.

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