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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2011 alle ore 13:26.
L'ultima modifica è del 04 settembre 2011 alle ore 14:02.

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Ci sarà sempre qualcuno che vi dirà che «le azioni offrono guadagni sul lungo periodo» o che «l'investimento in Borsa non va valutato a breve termine». A maggior ragione di questi tempi con i listini così depressi. Ma è ora di sfatare quello che sempre più appare un mito di altri tempi. Lontani e molto

Già perché analizzando i risultati di Piazza Affari quella prospettiva di lungo periodo che farebbe tutti ricchi fa acqua da tutte le parti. Si prenda l'indice delle blue chip italiane, il Ftse/Mib e lo si guardi retrospettivamente. Che sia in rosso negli ultimi tempi lo sanno tutti, ma che mostri una sequela di perdite appunto nel lungo periodo è meno noto. A tre anni l'indice più rappresentativo della borsa milanese perde il 45%, a cinque anni il risultato negativo sprofonda a un meno 59% e a 10 anni siamo a oltre metà del valore bruciato. Decennio duro, si dirà: troppe crisi l'hanno inframezzato. E così a 15 anni e a 20 anni l'indice (il Comit) si riscatta: rispettivamente un buon +40 e 50%. C'è di che festeggiare. Allora hanno ragione gli emuli del lungo periodo. Attenzione alle illusioni ottiche. Quel guadagno del 50% in 20 anni in realtà è ben poca cosa. Si tratta di un rendimento annualizzato del 2,5% e composto annuo ancora meno vicino al 2%. Tanto, poco? Dipende dai punti di vista. Basti sapere però che un banale BTp in 20 anni ha prodotto rendimenti vicini al 70%. Insomma la sifda è persa rispetto ai titoli di Stato.

Che ora da qualche mese sono percepiti giustamente come fonte di rischio, ma negli anni scorsi erano il porto sicuro dell'investitore che non vuole patemi d'animo. E così tanto rischio per nulla. Se non siete ancora convinti guardatevi il dato dell'inflazione. Il rendimento reale dell'indice di borsa, al netto della corsa dei prezzi, diventa negativo, pur nell'era della bassa inflazione e dei bassi tassi inaugurata dalla moneta unica. Ci si figuri negli anni Novanta quando l'inflazione correva a ritmi del 5-6%. Se neanche l'investimento in titoli di Stato ha salvaguardato il portafoglio che dire dell'investimento in borsa assai meno redditizio come si è visto?
Mito infranto quindi, quello dei guadagni che vengono da lontano. Sicuramente sì, anche se con eccezioni vistose.

Dall'ultima crisi finanziaria mondiale (leggi Lehman) e dai minimi toccati dalle borse di tutto il mondo, il 9 marzo del 2009 gran parte dei titoli di Piazza Affari registra tuttora guadagni anche a doppia cifra. Il Ftse/Mib stesso (+24% e +39% se si inglobano i dividendi incassati) batte il Btp. E appare stratosferico, visto il nervosismo che imperversa in questi mesi sulle borse, quel guadagno (virtuale finché non si vende si basi bene) del 166% di Saipem; o del 198% di Tod's e del 274% di Pirelli solo per citarne alcuni. Fior di rendimenti realizzati in due anni e mezzo. E qui, in quella finestra temporale 2009-2010, una delle poche se non l'unica fase positiva del famoso lungo periodo per il resto denso solo di rammarico (e perdite) per gli investitori. Un'eccezione alla regola che impone una riflessione. È il tempo la variabile fondamentale. O meglio in finanza il tempo è tutto, come hanno insegnato gli ultimi dieci anni di ottovolante e di brusche giravolte dello stato di salute dell'economia e di conseguenza dei mercati. Ed è proprio il tempo quello che i cassettisti, quelli avvezzi al lungo periodo, non guardano. Peccato perché vince sempre più in borsa, il mordi e fuggi. Chi è capace cioé di comprare e vendere rapidamente, accontentandosi di pochi punti percentuali di guadagno, anziché aspettare anni prima di portare a realizzo gli investimenti.

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