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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2011 alle ore 08:26.

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Nell'affrontare le ragioni profonde dell'agire, le moderne teorie psicologiche concordano sull'impossibile libertà dal proprio carattere. Ed è solo assimilando la politica italiana alle teorie della psiche che si può spiegare la settimana orribile - appena trascorsa - della manovra finanziaria. Dopo il lampo di unità e decisionismo che ha portato all'approvazione del decreto per il pareggio di bilancio a cavallo di Ferragosto, è bastato il momentaneo distrarsi dei mercati finanziari, rassicurati dagli acquisti della Bce di titoli italiani, a far tornare la politica italiana ai suoi vecchi mali.

Nel giro di 72 ore divisioni e interessi di fazione hanno portato a cambiare la manovra un numero di volte tale da far impallidire la marina borbonica e il suo ordine "facite ammuina" assunto a simbolo del caos nella gestione delle organizzazioni complesse. Non un bel risultato per il Governo che ha il suo asse tra Milano, Varese e la Valtellina. Ma soprattutto un pessimo segnale per i mercati e per i nostri interlocutori europei. Non è un caso se, sul finire della settimana, lo spread BTp-Bund è tornato a dare segnali di inquietudine. I mercati - in un mondo che offre ampia scelta di crisi finanziarie su cui speculare - magari si distraggono anche, ma poi ti presentano il conto. E per l'Italia quel conto può essere davvero salato.

Uno spread a 300 e oltre lo puoi reggere per un mese, magari per sei, ma alla lunga, man mano che i titoli vanno rinnovati, lo paghi con interessi sul debito che diventano insostenibili. Perciò dalla maggioranza era legittimo attendersi un diverso senso di responsabilità. Finire sui principali giornali della business community, dal Financial Times all'Economist, con il balletto delle cento modifiche è più di un autogol, sembra quasi un cupio dissolvi.

Ma non è solo una questione di metodo. È nel merito che le modifiche apportate alla manovra di Ferragosto sono apparse in buona parte incomprensibili. Rinunciare a coperture sicure per riscriverle sul terreno scivoloso del recupero dell'evasione fiscale era esattamente quello che gli analisti finanziari, nei loro rapporti, dicevano da settimane di non fare. Intendiamoci: la lotta all'evasione fiscale è un obbligo morale ed economico. Oltre 270 miliardi di economia sommersa sono una zavorra insostenibile per un Paese che soffre della malattia della crescita lenta. Ma impegnare gli introiti auspicati di questa lotta per coprire mancati tagli di spesa o entrate certe è almeno un azzardo. Non se ne sentiva davvero il bisogno. Ma il carattere, si diceva, non dà libertà. E la politica italiana di oggi accentua i tratti peggiori delle proprie patologie tradizionali. Silvio Berlusconi potrà allora dire di aver escluso il "contributo di solidarietà" che lo faceva «sanguinare», la Lega avrà ottenuto un gruzzolo di risparmi per gli enti locali, Tremonti avrà difeso l'Iva da ogni aumento. Ognuno avrà difeso la propria bandiera. Ma a pagare il conto potrebbe essere l'Italia, non certo i suoi evasori.

fabrizio.forquet@ilsole24ore.com

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