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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2011 alle ore 08:54.

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La «guerra delle valute» innescata ieri dalla Svizzera con l'intervento sul cambio è un evento che resta in apparenza estraneo al risparmiatore. A meno che non abbia un mutuo in franchi, non sia un lavoratore frontaliero o non vada a far benzina a Chiasso, tanto per rimanere nell'ambito delle attività lecite. Eppure i movimenti dei mercati valutari non sono certo secondari quando si tirano le somme degli investimenti.

È evidente che le notizie sulle bufere di Borsa o le difficoltà dei BTp hanno ben altro impatto sul risparmiatore. Ma non si può neanche ignorare che ogni volta che si mette il naso fuori dalla zona euro, sempre parlando di investimenti, ci si espone inevitabilmente al rischio di cambio.

Quando si acquistano attività in dollari – azioni Apple quotate a New York o più semplicemente un fondo comune che investe in titoli di Stato Usa – i guadagni realizzati (o le perdite) dovranno poi essere automaticamente riconvertiti nella nostra valuta: se nel frattempo il biglietto verde si è apprezzato sull'euro, il risparmiatore otterrà un extra-rendimento; in caso contrario dovrà rinunciare a parte dei rialzi.

Il cambio euro dollaro è rimasto per la verità più o meno confinato fra quota 1,40 e 1,45 negli ultimi 6 mesi. In passato le oscillazioni sono state però ben più evidenti, in particolare a favore dell'euro e quindi a svantaggio del risparmiatore: negli anni 2003-2004 e 2006-2007, per esempio, gran parte del rally realizzato da Wall Street si è volatilizzato con l'effetto cambio e anche nel 2011, se si fanno i conti da inizio anno, il rialzo di Apple (17%) appare quasi dimezzato (+9%) a chi sta su questa sponda dell'Atlantico, mentre il -8% dell'S&P 500 si trasforma in -12%.

iente vieta a chi voglia comunque "fuggire" dalle attività europee in questa fase turbolenta di guardarsi attorno in nome della diversificazione, magari per puntare anche su quei mercati emergenti che i gestori indicano come il futuro, basta però sapere che così facendo si aggiungono ulteriori fattori di incertezza. Rischi di questo genere si possono prendere, ma a piccole dosi e in misura limitata rispetto al portafogli complessivo. Se proprio non si vuole rinunciare alle opportunità che arrivano da fuori l'Eurozona si può provare a "coprire" gli investimenti dal rischio valutario.

Fino a qualche anno fa strategie simili (basate su opzioni e altri derivati) erano disponibili per i soli investitori professionali, oggi sono alla portata anche dei trader privati più evoluti. E per chi non ha la preparazione o il tempo sufficiente per il fai-da-te restano a disposizione prodotti «preconfezionati»: fondi, certificati di investimento e di recente anche Etf che investono in attività estere sterilizzando in parte o del tutto il rischio di cambio. Il loro limite? Hanno in genere commissioni più elevate rispetto al prodotto non protetto: la sicurezza, come sempre, ha un costo.

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