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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2011 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 08 settembre 2011 alle ore 08:59.

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Il libro di Filippo Astone Senza padrini - Resistere alle mafie fa guadagnare, racconta e documenta, con accurata ricerca ed elencazione di dati, ricchezza di interviste e di opinioni, estremo rigore d'esposizione e di commento, una vera e propria rivoluzione avvenuta in Sicilia e che si sta esportando in tutta Italia. Non saprei diversamente definirla. Priva di barricate, monda di spargimento di sangue, ma dura e senza quartiere come ogni rivoluzione che si rispetti.

Mi riferisco alla presa di posizione di Confindustria Sicilia di qualche anno fa in base alla quale si convenne, sic et simpliciter, di espellere dal proprio seno non solo gli iscritti notoriamente collusi con la mafia, ma anche quelli che pagavano il pizzo.

Certo, in precedenza c'era stato chi, come l'eroico Libero Grassi, si era rifiutato di sottomettersi al ricatto mafioso pagando di persona, ma una cosa è un'audace iniziativa singola e tutt'altra è una decisione presa da una grande organizzazione nazionale come Confindustria.

I giornali, nel darne notizia, non colsero il senso profondo di quella decisione e la novità delle idee che ne erano alla radice e l'animavano, si limitarono a illustrare superficialmente le personalità dei due illuminati promotori, Antonello Montante e Ivan Lo Bello, ma si dedicarono, soprattutto, a chiaroscurare le figure degli espulsi.

Tacquero soprattutto sul ribaltamento operato dall'immagine di colui che paga il pizzo, immagine tra l'altro autorevolmente avallata da sentenze di tribunali: da vittima passiva dell'ambiente e delle circostanze ad attivo sostenitore di quell'ambiente e di quelle circostanze. E tacquero naturalmente sull'implicita ed esplicita conseguenza logica di quella severa presa di posizione. E cioè che non bastava non pagare, era necessaria anche la denunzia del sopruso.

Un possibile slogan avrebbe potuto essere "la mafia non è inevitabile". E il fine ultimo che si proponevano i promotori e coloro che prontamente li seguirono era appunto la diffusione di una cultura antimafia estesa e innovativa. Anche al di fuori delle aziende, nelle scuole, nella società civile.

Il libro contiene un'avvincente e lunga e istruttiva casistica su come sono andate le cose per coloro che si sono prontamente adeguati alle nuove regole e per quelli che hanno ritenuto di dover continuare come prima, ignorandole.

Com'era prevedibile, l'opposizione al provvedimento si manifestò subito sotto diverse forme che andavano dallo scetticismo all'irrisione professati da giornalisti, avvocati, magistrati stessi, uomini politici, per non contare gli iscritti che sentivano sul collo l'imminenza dell'espulsione, i quali tentarono d'influenzare l'opinione pubblica anche lasciando supporre che le finalità dell'iniziativa fossero poco chiare, che i promotori fossero mossi da chissà quali interessi, forse anche concorrenziali.

E naturalmente ci furono anche più o meno esplicite intimidazioni, non tanto velate minacce, ripetuti inviti a lasciar perdere perché la battaglia ingaggiata sarebbe stata d'esito incerto e avrebbe potuto recar danno all'economia dell'isola.

In verità Montante e Lo Bello, nella loro battaglia per la legalità, erano mossi, oltre che da una forte istanza etica, anche dall'interesse, che non era però personale ma generale. Erano giustamente convinti, infatti, che «solo nella legalità le aziende possano crescere al meglio delle loro possibilità, producendo ricchezza e lavoro».

Altro considerevole merito di questo libro è quello di contenere in sé anche voci che davanti alle tesi di Montante e Lo Bello e al loro concreto agire si situano in una posizione che è sì dialettica ma è ben lungi dall'essere negativa. Mi riferisco in particolar modo alle acute, intelligenti e fattive osservazioni del giudice Roberto Scarpinato.

Ricostruendo accuratamente i fatti, seguendo il loro svolgimento, colmando lacune e illuminando zone oscure, senza volerlo assolutamente essere, questo libro finisce anche col proporsi come un libro di storia in atto. Per ora, con la "esse" minuscola. Ma se queste idee riusciranno a radicarsi dal Sud al Nord dell'Italia, cambiando una trista mentalità, allora quella "esse" di storia potrà diventare maiuscola.

L'articolo in pagina è la prefazione di Andrea Camilleri al volume Senza padrini di Filippo Astone

IL LIBRO
La presentazione
Il volume sarà presentato a Roma (via dell'Umiltà 38c, ore 18,30), il 15 settembre. Con l'autore, Pietro Grasso, Luca Palamara, Francesco Cirillo, Antonello Montante ed Emma Marcegaglia. Modera Roberto Napoletano.

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