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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2011 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 13 settembre 2011 alle ore 07:51.

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Dopo il venerdì nero, il lunedì nero. In Borsa il colore resta luttuoso e lo scenario non migliora, mentre l'asta dei titoli di Stato porta altre cattive notizie. Non tutto, è ovvio, dipende dalla politica romana con le sue piccole miserie. Ma è un fatto che si avverte un senso d'immobilismo, d'impotenza. Dopo settimane estenuanti spese per mettere a punto la fatidica manovra, ecco che dall'Europa arriva il solito spiacevole ma prevedibile avvertimento: guardate che potrebbe non bastare, i vostri conti pubblici hanno bisogno di altri interventi.

Così il cerchio del paradosso si chiude. Oggi Berlusconi si muove tra Bruxelles e Strasburgo per colloqui da lui richiesti all'ultimo minuto con Van Rompuy e Barroso, sappiamo con quale secondo fine (evitare l'incontro con i pm del caso Tarantini). Ma di cosa parlerà? Di una manovra che lui considera definitiva (e si capisce, data la fatica che gli è costata) in vista del pareggio di bilancio, ma che molti oltre le Alpi considerano già insufficiente? Se è così, attendiamoci parole di circostanza dalla controparte e una certa ambiguità sullo sfondo.

Di sicuro domani la Camera voterà la fiducia su un testo che a quel punto sarà finalmente operativo, ma che di fatto rischia di dover essere integrato nel giro di settimane o mesi. E se il problema è la credibilità del governo italiano, nonché la sua autorevolezza interna ed estera, è poco verosimile che l'ulteriore giro di vite che si prospetta possa essere gestito da una maggioranza che appare stremata e in debito d'ossigeno.

Qui entra in campo ancora una volta il problema della leadership berlusconiana. Il premier che oggi vola a Bruxelles non è più da tempo il personaggio carismatico, la figura che anni fa faceva discutere i partner europei, ma che in fondo suscitava interesse e curiosità. Oggi è il personaggio stanco e logoro ben noto a tutti. Non accade tutti i giorni, infatti, che un comunicato della presidenza dell'Unione precisi con puntiglio che gli incontri di oggi sono stati chiesti da Roma e sono stati accordati nonostante il minimo preavviso. Peraltro il presidente del Parlamento europeo fa sapere che vedrà l'ospite italiano «per un paio di minuti, un gesto di cortesia».

È chiaro che la diplomazia ha le sue esigenze, ma non c'è chi non veda che questa visita-lampo del presidente del Consiglio suscita qualche imbarazzo presso gli europei. Tra le righe si avverte un senso di disagio, o meglio il desiderio di non farsi strumentalizzare più di tanto da Berlusconi e dalle sue diatribe con la magistratura.

Ne deriva che la settimana si presenta sotto auspici assai incerti. Una manovra che dovrà essere «rafforzata», come si dice con un eufemismo. Un premier che va a illustrarne la versione attuale non alle cancellerie o alla Bce, ma ad interlocutori il cui ruolo è meno cruciale e che potranno solo prendere atto delle sue parole. Poi l'inquietante attesa di nuove rivelazioni sul piano giudiziario o para-giudiziario. Altre intercettazioni, altro fango. Infine la vicenda Milanese in Parlamento.

La politica sembra paralizzata di fronte a questa situazione. Appelli, proposte, richieste di dimissioni: tutto è piuttosto di maniera. Dal «Berlusconi se ne deve andare» di Bersani al governo di responsabilità nazionale a cui tanti si dichiarano disponibili, nessuno sa indicare una via concreta e politica per dar corpo ai desideri. E tutti aspettano.

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