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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2011 alle ore 13:20.
L'ultima modifica è del 18 settembre 2011 alle ore 13:26.

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Per risolvere una crisi nella quale l'impossibile è diventato possibile è necessario pensare all'impensabile. Quindi, per risolvere la crisi del debito sovrano europeo è imperativo adesso prepararsi alla possibilità di un default e di un'uscita dall'Eurozona di Grecia, Portogallo e forse Irlanda.
In un simile scenario si dovranno prendere provvedimenti per scongiurare un tracollo finanziario dell'Eurozona nel suo complesso. Prima di tutto occorre tutelare i depositi bancari. Se un euro depositato in un istituto bancario greco andasse perso a causa del default e dell'uscita dall'Eurozona, un euro custodito in un istituto bancario italiano varrebbe immediatamente meno di un euro depositato in un istituto bancario tedesco od olandese, e questo provocherebbe una corsa agli sportelli per ritirare contante delle banche dei Paesi in deficit.

Inoltre, alcune banche dei Paesi in situazione di default dovrebbero essere tenute in vita al fine di evitare il collasso economico. Al tempo stesso il sistema bancario europeo dovrebbe essere ricapitalizzato e messo sotto una supervisione europea, distinta da quella nazionale. Infine, i titoli di Stato emessi da altri Paesi in deficit dell'Eurozona dovrebbero essere messi al riparo dal rischio di contagio. Queste ultime due raccomandazioni dovrebbero essere seguite anche nel caso in cui nessun Paese facesse default. Tutto ciò costerebbe soldi, naturalmente, ma in base agli accordi vigenti concordati dai leader nazionali dei Paesi dell'Eurozona non ci sono altri soldi da trovare. Pertanto non ci sono alternative.

Si può soltanto creare l'elemento mancante: un Tesoro europeo che abbia il potere di imporre tasse e quindi di erogare prestiti. Ciò a sua volta richiederebbe un nuovo Trattato, che trasformi l'Efsf (European financial stability facility) in un Tesoro vero e proprio. Il fatto è che per ottenere ciò è indispensabile un radicale cambiamento di mentalità, soprattutto in Germania. L'opinione pubblica tedesca crede ancora di poter scegliere se sostenere o meno l'euro. Si tratta di un errore madornale. L'euro esiste e gli asset e gli obblighi del sistema finanziario globale sono a tal punto intrecciati sulla base della valuta comune che il suo crollo provocherebbe un disastro colossale, ben oltre le possibilità effettive delle autorità tedesche o di qualsiasi altro Paese di contenerlo. Quanto più tempo l'opinione pubblica tedesca impiegherà per capire fino in fondo questa realtà nuda e cruda, tanto più alto sarà il prezzo che essa ‐ e con essa il resto del mondo ‐ dovranno pagare.

La questione non è capire se l'opinione pubblica tedesca possa lasciarsi convincere di questa realtà. La cancelliera Angela Merkel può non essere in grado di persuadere l'intera sua coalizione dei suoi meriti, ma può sicuramente contare sull'opposizione per costruire una nuova maggioranza che appoggi ciò che è necessario fare per proteggere l'euro. Una volta risolta la crisi dell'euro, avrebbe sicuramente meno da temere alle prossime elezioni.

Prepararsi per il possibile default o la possibile scissione di tre piccoli Paesi dall'euro non significa necessariamente abbandonare questi Paesi. Al contrario: la possibilità di un default strutturato ‐ finanziato dagli altri Paesi dell'Eurozona e dall'Fmi ‐ offrirebbe a Grecia e Portogallo la possibilità di scegliere nuovi metodi. Oltretutto, porrebbe fine al circolo vizioso - che oggi minaccia tutti i Paesi in deficit dell'Eurozona - in virtù del quale l'austerità indebolisce le prospettive di crescita, ciò induce gli investitori a chiedere tassi d'interesse molto più elevati (quasi proibitivi), e di conseguenza i Governi sono costretti a tagliare sempre più la spesa pubblica.

Uscire dall'Eurozona renderà più facile per i Paesi maggiormente in crisi riguadagnare la loro competitività. Qualora invece fossero disposti a fare i sacrifici necessari, potrebbero anche rimanervi: l'Efsf tutelerebbe i loro depositi bancari nazionali e l'Fmi li appoggerebbe nella ricapitalizzazione dei loro sistemi bancari, che aiuterebbero in definitiva questi Paesi a uscire dall'attuale trappola nella quale sono invischiati. In ogni caso, non è nell'interesse dell'Unione europea permettere che questi Paesi falliscano e trascinino con sé l'intero sistema bancario globale.

I Paesi membri della Ue, e non soltanto quelli dell'Eurozona, devono rendersi conto che per salvare l'euro serve un nuovo Trattato. È logico ed evidente. Pertanto i colloqui su cosa includere in questo nuovo Trattato dovrebbero avere immediatamente inizio, perché anche se i leader europei sono sotto pressione e ciò li spingerà a trovare in tempi rapidi un accordo, i negoziati saranno per forza di cose lunghi. Una volta trovato l'accordo, tuttavia, il Consiglio europeo potrebbe autorizzare la Bce a subentrare nell'accordo, così che la Bce lo assicuri preventivamente dai rischi di solvibilità.

Per i mercati finanziari intravvedere una soluzione alla crisi del debito sovrano dell'Eurozona sarebbe fonte di conforto. Anche così, però, sarebbe da mettere in conto quasi sicuramente una grave recessione economica, in quanto sarà inevitabilmente la Germania a dettare le parole e i termini di un nuovo Trattato. Ciò potrebbe comportare un ulteriore cambiamento di atteggiamento in Germania, che a sua volta permetterebbe l'adozione di politiche anticicliche. E a quel punto, in buona parte dell'Eurozona potrebbe riprendere la crescita.

(Traduzione di Anna Bissanti)

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