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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2011 alle ore 13:23.
L'ultima modifica è del 18 settembre 2011 alle ore 13:32.

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Si dice che in crisi delicate come quella che stiamo attraversando i commenti improvvisati dei leader politici sono tra i fattori che più spingono i mercati al ribasso. C'è addirittura chi ha costruito un diagramma che affianca le dichiarazioni dei maggiori leader europei e gli andamenti dei titoli pubblici dei Paesi in difficoltà. Ne esce un'impressionante coincidenza fra tali dichiarazioni e le impennate degli spread.

Sarebbe presuntuoso dire che gli editoriali e gli articoli che tanti di noi scrivono sugli stessi argomenti possono produrre effetti altrettanto rilevanti. Ciò non esclude, però, che dovremmo almeno non fare danni e, possibilmente, assolvere al vero compito di chi scrive sui giornali: aiutare chi legge a capire ciò che sta succedendo e magari illuminare la strada di chi è alle prese con i problemi da noi commentati o discussi. Ebbene, leggendo ciò che si viene scrivendo sul tema dei debiti sovrani europei, non ho l'impressione che questi criteri siano sempre rispettati.
Al contrario, mi pare che prevalgano sempre più le analisi e le proposte più estreme, all'insegna di quel "pensare l'impensabile" a cui retoricamente si ricorre quando il pensabile si è esaurito, con l'effetto di prendere le distanze dal campo di battaglia e di lasciarvi soli gli operatori, accrescendone caso mai le incertezze e le angosce.

A suscitare in me questa reazione sono le voci sempre più numerose, che sostengono l'indispensabilità di nulla di meno dell'integrazione politica per uscire dai guai in cui ci troviamo, nonché quelle, a loro volta crescenti, che preconizzano default nazionali a catena e morte dell'euro come gli esiti più prevedibili che abbiamo davanti. Ora, lo capisco benissimo che quando la matassa si aggroviglia, chi è immerso ad occhi bassi nel tentativo di sbrogliarla può avere bisogno di qualcuno che lo aiuti ad alzare gli occhi e a trovare la sua vita di uscita. Chi mi conosce, inoltre, sa bene quanto io sia convinto della necessità di rafforzare l'integrazione politica europea e pensi, fra l'altro, agli eurobond in questa stessa prospettiva.

Due cose però mi colpiscono. La prima è che, nonostante la diversità degli argomenti utilizzati, i fautori dell'integrazione e i profeti di sventura finiscono in realtà per approdare alla stessa conclusione. La seconda è che i giornali sui quali è da ultimo evocata più di frequente la necessità dell'integrazione politica europea per mettere l'euro al sicuro sono L'Economist e il Financial Times. Può darsi che a pensare male qualche volta si sbagli, ma mi chiedo quale sia il messaggio che queste convergenze trasmettono a chi legge, si tratti di operatori finanziari, di imprenditori, di consumatori o di funzionari pubblici. Il più probabile è: «Quale che sia il fronte su cui combattete, lasciate perdere. L'esito è segnato».

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