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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2011 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 21 settembre 2011 alle ore 07:40.

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Quali conseguenze politiche dal declassamento deciso da S&P's? Molteplici, benché non ancora decisive. Non a caso il giudizio dell'agenzia americana cita in modo esplicito, fra le cause della crisi italiana, la «fragile coalizione di governo e le differenze politiche all'interno del Parlamento». Dunque descrive un quadro di grave incertezza, nonostante che le parole usate non siano le più idonee (in tutti i parlamenti del mondo esistono le «differenze politiche»).
Il senso della nota è tuttavia ben chiaro, con l'invito sottinteso alla classe politica affinché recuperi credibilità, se ci riesce, per mostrarsi adeguata all'urgenza dei problemi.

In breve, l'altra notte si è consumata una sorta di declassamento politico e non solo finanziario dell'Italia. E' l'affidabilità complessiva del governo di Roma ad aver perso punti preziosi.
Si dirà che le agenzie di 'rating' e le loro sentenze non vanno divinizzate e i loro verdetti non devono essere usati in modo strumentale. Infatti molti ieri hanno sostenuto queste tesi nelle file della maggioranza. Il presidente del Consiglio però è andato anche oltre, in quel comunicato in cui si accusa S&P's di essersi fatta influenzare «dai retroscena (leggi dalle falsità, ndr) dei quotidiani piuttosto che dalla realtà delle cose». Così facendo Berlusconi ha dimostrato una volta di più di volersi rinchiudere nella logica del bunker e di non comprendere quale sia oggi la posta in gioco.

È ormai evidente che in Europa tanti condividono l'immagine, evocata da un giornale tedesco, secondo cui l'Italia di Berlusconi sta trascinando nel baratro l'intera area della moneta unica. Che sia vero o no, questa è la convinzione ormai diffusa; e dunque questo è il problema politico di fronte al premier. Per affrontarlo Berlusconi propone due cose: una resistenza a oltranza, giocata sul filo della perenne sfida con la magistratura (fino ad adombrare una grande manifestazione di piazza entro l'anno); e la legittima difesa della manovra appena varata.

Circa quest'ultimo punto, tuttavia, proprio il giudizio dell'agenzia in questione contiene molti dubbi sull'efficacia delle misure adottate. E parecchi osservatori già considerano necessaria un'altra manovra a breve: sia per consolidare i provvedimenti precedenti, sia per dare qualche stimolo all'economia stagnante. Come si concilia allora l'arroccamento del premier, da un lato, e dall'altro le nuove sfide a cui potrebbe essere chiamato un centrodestra che appare oggi sfiancato, sfibrato dalla lunga tensione vissuta nelle ultime settimane? L'asse Pdl-Lega sembra aver dato tutto con l'ultima manovra. Adesso attende gli eventi in evidente affanno.

In altri termini, la situazione è appesa a un filo. È significativo che il presidente della Repubblica abbia stigmatizzato con asprezza le minacce secessioniste di Bossi. Altrettanto significativo che abbia sentito il bisogno di avviare una serie di colloqui politici al Quirinale. Proprio alla vigilia del voto alla Camera sul fatidico «caso Milanese»: voto segreto, come sappiamo, e come tale suscettibile di sorprese. È normale che il capo dello Stato voglia rendersi conto dell'aria che si respira in Parlamento. Qualsiasi novità, compreso l'avvio di una nuova fase politica, deve prendere forma nella cornice delle Camere. E ieri la maggioranza è stata battua cinque volte: votazioni minori, ma nessun indizio può essere trascurato.

Soprattutto Napolitano non può farsi trovare impreparato nel caso in cui la maggioranza non reggesse o in cui il presidente del Consiglio rinunciasse alla linea della resistenza a tutti i costi. Un colpo di scena è sempre possibile e, anzi, il clima sembra propizio. Dopo comincerà il difficile. Perchè si tratterà di gestire una crisi politica che coinciderà con la conclusione di un'epoca.

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