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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2011 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 21 settembre 2011 alle ore 06:40.

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I membri dell'Eurozona sono in preda a un grave attacco di rimorso del compratore. Molti vorrebbero smontare il giocattolo acquistato quasi vent'anni fa e assemblato tra la fine degli anni 90 e il decennio appena trascorso. È un giocattolo che non si può smontare, si può solo rompere, e con esso andrebbe in pezzi l'impianto della cooperazione europea.

Il mondo guarda con orrore all'eventualità che l'Eurozona possa innescare un'ondata di crisi di debito pubblico e del settore bancario. Se così fosse, non sarebbe la prima volta che la follia europea porta la rovina nel mondo.
L'idealismo che fece da motore all'euro è svanito, ma l'interesse egoistico è un surrogato scadente. I goffi annaspamenti dei politici nazionali, che devono rispondere a elettori frustrati, peggiorano le cose. Jacques Cailloux, capo economista per l'Europa della Royal Bank of Scotland, sottolinea gli errori. I leader dell'Eurozona, accusa Cailloux, non si sono resi conto delle dimensioni e della natura della crisi; con leggerezza hanno recitato a beneficio delle platee nazionali, puntando il dito contro i malfattori, anche se la colpa non è solo di chi si è indebitato scriteriatamente, ma pure di chi ha prestato soldi scriteriatamente. Cailloux ha ragione, e aggiunge che sono entrati in gioco due elementi nuovi: l'opinione pubblica tedesca si sta rivoltando contro la sua Banca centrale, e molti politici, fra cui anche il primo ministro olandese Mark Rutte, stanno ventilando la possibilità di un'uscita forzata.

Il senso dell'unione monetaria stava nella sua irrevocabilità: i suoi presunti benefici dipendevano da questo. Anche solo parlare di un'uscita dall'euro reintroduce il rischio di cambio. Inoltre, sostiene sempre Cailloux, «non vediamo nessun annuncio di misure che possano ricondurre il premio di rischio per l'uscita dall'euro a livelli trascurabili». Ora gli investitori devono fare i conti con rischi di debito pubblico, rischi finanziari e rischi di un'uscita dall'euro. Il risultato sarà una fuga dai titoli di Stato e dalle obbligazioni delle banche, e addirittura una disintegrazione dei mercati dei capitali in componenti nazionali.

Una volta che il tabù è stato infranto, la possibilità di un'uscita dev'essere presa in esame. È possibile o è auspicabile? Per discutere dell'argomento bisogna partire dalla Grecia. Nouriel Roubini, professore alla Stern School dell'Università di New York, sostiene, sul Financial Times, di questa settimana, che la Grecia dovrebbe dichiarare il default e uscire dall'euro. Non ho difficoltà a sottoscrivere la prima parte della tesi. Sono rimasti in pochi a credere che si possa evitare una riduzione drastica del debito pubblico del Paese ellenico. Non è questione di "se" accadrà, ma di "quando" accadrà.

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