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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2011 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 23 settembre 2011 alle ore 07:39.

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Non ha torto Marco Milanese quando lamenta, dopo lo scampato pericolo, l'ingiustizia di un voto dato per ragioni tutte politiche quando la posta in gioco è il carcere, cioè «la vita di una persona». Ma la scoperta è quanto meno tardiva. Ieri alla Camera la ragion politica ha ispirato tutti, quelli che si sono espressi per l'arresto del deputato e quelli che lo hanno salvato. Quasi nessuno ha valutato il merito della questione, la stragrande maggioranza ha badato al sodo, cioè all'obiettivo da raggiungere: la salvezza o la caduta del Governo.

Alla fine proprio la politicizzazione del voto ha garantito la sicurezza all'antico braccio destro dell'assente Tremonti. Destino opposto a quello toccato, appena poche settimane fa, all'infelice Alfonso Papa, tuttora detenuto, come è noto, nel carcere di Poggioreale. Si vede che Papa, in confronto a Milanese, era più sacrificabile. La ragion politica, appunto. Del resto quei sei voti di margine sono poca cosa, ma dimostrano che i famosi dissidenti, i manipoli degli scontenti che avrebbero dovuto dare un segno di vita dai ranghi di Pdl e Lega ancora una volta sono rimasti rintanati fra gli scranni di Montecitorio. Meglio così, si dirà, perché dai 'franchi tiratori' non può venire niente di buono. Eppure, dal punto di vista politico, chi voleva la caduta del governo ha perso un'occasione che non si ripresenterà tanto facilmente. Di conseguenza, Berlusconi ha colto un successo. Data la situazione in cui si trovano lui e il suo esecutivo, un successo di rilievo.

Aggrappato alla stabilità del governo come valore assoluto, il presidente del Consiglio ha evitato un'imboscata che peraltro non è stata nemmeno tentata. Infatti i sei-sette franchi tiratori del centrodestra che hanno comunque votato contro Milanese sono un segnale debole, forse troppo debole per costituire una minaccia. E anche ammesso che siano qualcuno in più, considerando l'ipotesi di un minimo di soccorso segreto arrivato dal centrosinistra o dall'Udc al deputato inquisito, si resta sempre al di sotto della soglia di guardia.

Berlusconi e Bossi, soprattutto il secondo, pagano naturalmente un prezzo per la riuscita dell'operazione. La Lega una volta di più lascia interdetta la sua base e, nell'immaginario collettivo, accetta di farsi identificare con la 'casta' romana. Ma è evidente che Bossi ha fatto da tempo una scelta strategica e non intende modificarla, costi quel che costi. Roberto Maroni e i suoi amici hanno dovuto far buon viso a cattivo gioco, visto che i margini di manovra politica sono esigui e la crisi di governo si sarebbe aperta al buio. Con sviluppi imprevedibili.

Qui infatti è la chiave della giornata di ieri. È vero, i dissidenti anti-Berlusconi del centrodestra sono ancora timorosi e disorganizzati e non riescono a proiettarsi al di là del mugugno. Ma la debolezza riguarda anche l'opposizione. Il Partito democratico più dell'Udc, perché Casini la sua parte l'ha fatta e se il governo fosse caduto avrebbe cominciato a giocare la partita. Invece il Pd con Di Pietro e anche Vendola non riesce a rappresentare una potenziale alternativa. O almeno una sponda sicura per chi dovrà immaginare una via d'uscita all'eventuale crisi. Nemmeno la soluzione istituzionale, legata a una fase di 'responsabilità nazionale', come si dice, sembra a portata di mano. Ieri l'ha riproposta in un certo senso il sottosegretario Gianni Letta, ma non sarà ascoltato. Qualcuno lo ha anche detto: dai vertici del Pd parole molte, fatti pochi.

Restava e in teoria resta l'altra ipotesi: un governo di centrodestra post-berlusconiano allargato al partito di Casini. Ma con ogni evidenza chi dovrebbe crederci non è pronto: nel Pdl o in qualche segmento della Lega. I più temono un'ondata di destabilizzazione e di vendette che farebbe seguito alla caduta del vecchio premier e del suo alleato Bossi. Per cui nessuno si espone senza certezze. Tutti aspettano non si sa bene cosa. E dal Quirinale Giorgio Napolitano è costretto a osservare con palpabile inquietudine una scena politica sfibrata, ma non fatiscente. Stabilità senza credibilità: la miscela peggiore.

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