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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2011 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 23 settembre 2011 alle ore 09:13.

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Sono comprati e venduti dagli operatori al telefono, fuori da qualunque mercato elettronico. Sono privi della minima trasparenza. Il loro mercato è tutto concentrato nelle mani delle prime quattro o cinque banche americane. Sono accessibili solo ai grandi investitori. Si chiamano credit default swap, "Cds" per gli amici: speciali "polizze" che permettono agli investitori, pagando un premio, di assicurarsi contro il crack anche dei Governi.

Opachi e senza tracciabilità, questi strumenti hanno un "potere" enorme: possono influenzare e condizionare mercati ben più grandi di loro, come quelli dei titoli di Stato. Possono potenzialmente fomentare il panico o favorire il rialzo dei rendimenti. Insomma: nella nebbia in cui sono avvolti, possono contribuire a destabilizzare Stati, mercati e di conseguenza risparmiatori. Eppure le Autorità non hanno mai pensato di mettere su questo mercato qualche regola in più per favorire la trasparenza. O per concentrare gli scambi su listini sorvegliabili.

I numeri parlano da soli. La Repubblica italiana ha titoli di Stato per un ammontare di 1.500 miliardi di euro. A fronte di questa montagna – calcola la Dtcc –, esistono "solo" 9.584 contratti di Cds per un valore nominale lordo di 229 miliardi di euro. Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia insieme hanno 1.057 miliardi di euro titoli di Stato e appena 260 miliardi di euro di Cds lordi. Questi sono i derivati sul mercato: nulla si sa sui volumi. Ma tanti sostengono che non sono elevati. E questo è il problema: il mercato piccolo con bassi volumi (quello dei Cds) può influenzare quello molto più grande (dei titoli di Stato): quando sale il "premio" per assicurarsi contro il default dell'Italia, infatti, chi lavora sui mercati obbligazionari non può non tenerne conto e vende BTp. Morale: rincarano i Cds mentre salgono rendimenti e spread tra BTp e Bund.

È dunque possibile, almeno in teoria, che qualcuno destabilizzi i Cds (bastano forse poche decine di milioni di dollari) per speculare di conseguenza sul mercato dei titoli di Stato. Ovvio: non è detto che questo sia mai avvenuto. Ma non è neppure escluso. E proprio qui è il punto: quello dei Cds è un mercato troppo opaco, sul quale potrebbe accadere tutto. È vero che i Cds sono importantissimi strumenti per coprire i rischi (guai se non esistessero), ma è anche vero che avrebbero la stessa funzione se fossero più trasparenti. Oppure se fossero quotati su un listino elettronico, sorvegliato dalle Autorità. Eppure, dall'inizio della crisi, tranne qualche blanda riforma, il mercato dei Cds è rimasto lì: nel buco nero di sempre. Dove guadagnano le grandi banche d'affari e – potenzialmente – perdono gli altri: Stati, investitori, risparmiatori.

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