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Questo articolo è stato pubblicato il 27 settembre 2011 alle ore 07:55.
L'ultima modifica è del 27 settembre 2011 alle ore 08:32.

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Nel Rapporto che viene presentato oggi a Roma, la Svimez ci ricorda una scomoda, eterna verità: non è data "salvezza" per il Mezzogiorno senza un massiccio, ostinato, pervicace investimento in capitale umano. Il calcolo fatto dai ricercatori – un aumento del 10% di laureati meridionali corrisponderebbe a un rialzo dello 0,7% della produttività totale dell'area – non va preso alla lettera, nell'attribuire alla laurea funzioni salvifiche che purtroppo, per mille motivi, essa non ha.

Va inteso come un filo rosso che tiene, a dispetto degli anni, in mezzo a ogni vera discussione "meridionalista". Alle varie ricette sul tema – intervento straordinario, programmazione negoziata bottom-up, regionalizzazione dei Fondi europei – si è sempre aggiunta in controcanto la voce di chi invitava ad associare un ulteriore investimento, preliminare e strategico. Quello in capitale umano.

Perché ogni spesa pubblica poteva diventare a perdere (e spesso così è stato), se non si formavano insieme risorse umane in grado di fare da moltiplicatore ai soldi stanziati. A maggior ragione oggi. Un Sud più istruito – ma nel modo che serve al mercato – è l'unica ricetta che in tempi come questi ha senso proporre. Ed è interesse di tutto il Paese far sì che venga attuata.

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