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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2011 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 29 settembre 2011 alle ore 08:20.

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C'è il debito pubblico, quell'immensa mole che pare in molti casi sfuggita ad ogni controllo e c'è, a far da pendant, il debito privato delle imprese. E in fondo un'impresa funziona un po' come uno Stato o una famiglia. Se si chiedono soldi a prestito fuori misura, non solo ci si espone al rischio di non riuscire a restituirli, ma si consuma una buona parte del reddito solo per pagare gli interessi.

E allora, soprattutto di questi tempi, il tema di un debito sostenibile, non più alto cioè del valore patrimoniale della società e che non superi di oltre tre volte il reddito industriale prodotto ogni anno, è un discrimine forte sul listino. In fondo è banale: tra una società pluri-indebitata e una con poco debito o addirittura con liquidità in tasca il mercato non ha dubbi. In fondo è il "Cash is King" cui guardano gli investitori nei momenti di tempesta.

Ma quanto e come determina le sorti borsistiche di un titolo, l'eccesso di debito? Semplice: più la leva sale (cioé il debito che corre di più rispetto ai flussi di cassa) più la società va sotto stress. Deve cioé far crescere a tutti i costi i margini per continuare a pagare interessi che aumentano. Inoltre si deve stare attenti al giudizio delle agenzie di rating. Se si viene bocciati a Junk (cioé spazzatura) c'è un duplice effetto collaterale. In primis, alcuni investitori istituzionali come i fondi comuni non potranno più acquistare il titolo. E se non c'è domanda il prezzo dell'azione tende inevitabilmente a scendere. In secondo luogo salgono i rendimenti futuri richiesti alle obbligazioni della società da parte del mercato.

E quindi il costo del debito diventa ancora più salato. Una spirale perversa. E l'esempio estremo di come il debito può uccidere una società è quello di Seat Pagine Gialle. Oggi alle prese con un complesso piano di ristrutturazione pena il fallimento. Ieri (molti anni fa) un titolo regina della sbornia da new economy. In mezzo, a determinare la triste fine borsistica del titolo, quegli oltre 3 miliardi caricati sulle spalle della società dai fondi di private equity. Convinti che gli alti margini prodotti allora fossero sempre sufficienti a ripagare il conto finale. Così non è andata e quel peccato di presunzione vale il rischio fallimento della società. Il contraltare a Seat è, ad esempio, Diasorin. Qui le cose sono assolutamente invertite. Il debito è a zero, anzi ci sono soldi in cassa e il reddito prodotto è in crescita. Un titolo ottimale per un investitore saggio.

C'è voluta infatti la bufera collettiva sulle Borse di agosto per far cadere anche Diasorin, che ha perso quasi il 20% dai massimi di fine luglio. Ma non va dimenticato che proprio le caratteristiche di Diasorin (il basso debito e la forte crescita reddituale) hanno permesso al titolo di triplicare le quotazioni, in una corsa ininterrotta, dal 2007 al luglio scorso.
E che dire di Campari e Luxottica? Lo scossone sulle Borse ha colpito di recente anche loro. Ma Campari è salita del 180% negli ultimi tre anni e Luxottica ha raddoppiato le quotazioni dai minimi dei listini del marzo 2009. Indovinate cosa le accomuna? Margini di reddito in crescita e debito sempre contenuto a livelli sostenibili. Il segreto per vincere a lungo termine in Borsa in fondo è tutto qui. Utili in progressione, senza fare mai il passo più lungo della gamba con i soldi degli altri. Una lezione tanto banale, quanto non semplice. Ma quando il mix funziona, si ha una carta in più rispetto agli altri sul listino.

fabio.pavesi@ilsole24ore.com

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