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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2011 alle ore 09:37.

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Ci sono volute idee sbagliate e mosse sbagliate da più parti per ridurci nello stato in cui ci siamo: raramente, nel corso degli eventi umani, così tante persone si sono impegnate così tanto per fare così tanti danni.

Se dovessi individuare qualche colpevole più colpevole degli altri, punterei il dito su quelle istituzioni europee (o con sede in Europa) che hanno offerto una credibilità intellettuale immeritata ai fautori della politica del rigore. Nello specifico: l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), che un anno fa ha chiesto un risanamento dei conti pubblici e un forte incremento dei tassi di interesse negli Stati Uniti, perché... perché sì. L'Ocse ha analizzato la situazione economica del Regno Unito e ha concluso che l'inflazione probabilmente calerà, la disoccupazione salirà e che quindi il Governo di Londra dovrà continuare a tagliare la spesa pubblica e alzare i tassi di interesse. Come ha scritto un analista: «In che pianeta vivono? In che pianeta vivo?».

Tra i colpevole anche la Bce, che ha sposato con entusiasmo la dottrina dell'austerità espansiva a dispetto della mole di dati che ne dimostrano l'infondatezza e ha provveduto ad alzare i tassi in presenza di un'economia in depressione, dando il colpo di grazia all'euro.
Non senza colpe la Banca dei regolamenti internazionali, che tre mesi fa ha chiesto alle Banche centrali di dare una stretta alla politica monetaria per combattere un'inesistente minaccia inflazionistica. È il caso di far notare che l'inflazione attesa è in picchiata?
Queste organizzazioni farebbero bene a farsi un esame di coscienza e a chiedersi come hanno fatto a sbagliare così clamorosamente nonostante si vantino di essere le depositarie della saggezza.

Giornali freudiani. Forse (anzi, è probabile) sono io che sono troppo sensibile all'argomento, ma mi ha colpito il titolo di un articolo del Financial Times: "L'Fmi mette in guardia dalle politiche di stimolo". Mi ha colpito perché si apprende che l'Fmi mette in guardia dalle politiche di austerity. Come ha scritto Alan Beattie sul Financial Times del 20 settembre: "In una situazione in cui la ripresa mondiale sembra sempre più a rischio, gli Usa e le altri grandi economie devono evitare di tagliare eccessivamente la spesa pubblica sul breve termine, è l'ammonimento del Fondo monetario internazionale".

Quel titolo è un classico esempio di lapsus freudiano. È indiscutibile che nell'ultimo anno la febbre del rigore si è diffusa come un'epidemia tra le fila delle persone tanto coscienziose, e che politici, alti funzionari e mezzi di informazione fanno fatica a tornare alla realtà. Se si sono esposti parecchio per cantare le lodi di questo magico universo dove la contrazione della spesa pubblica produce effetti espansivi sull'economia, ora è difficile fare marcia indietro senza dover ammettere che non hanno la idea di quello di cui stanno parlando.
Economisti confusi. Vedo che l'economista Tyler Cowen ha stabilito che un piccolo incremento del Pil irlandese e un calo dei tassi di interesse sui titoli di Stato del Governo di Dublino da livelli drammatici a livelli che indicano un forte rischio di default rappresentano una confutazione delle teorie keynesiane. I modelli keynesiani in economia aperta sono chiari . Nessun Paese rimane in recessione in eterno: una disoccupazione alta produce una deflazione reale, o quantomeno relativa, che migliora gradualmente la competitività e porta a un incremento delle esportazioni e a una graduale espansione dell'economia.

Questa è la tesi di Keynes in The economic consequences of Mr Churchill, un saggio del 1925. Che l'Irlanda ora cresca un po' non è una confutazione delle teorie keynesiane: al contrario, è quello che ci si poteva aspettare considerando che quel Paese sta realizzando gradualmente una "svalutazione interna" attraverso una deflazione relativa. Un rapido ritorno alla piena occupazione, quello sì che sarebbe stato un rebus intellettuale. Ma non è quello che sta avvenendo.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
© 2011 NYT DISTRIBUITO DA NYT SYNDICATE

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