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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2011 alle ore 07:50.
L'ultima modifica è del 30 settembre 2011 alle ore 06:40.

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La realtà storica, come nel bellissimo film di A. Kurosava, Rasciomon, può essere raccontata in modi diversi; eppure si è svolta in un solo modo. Se la situazione economica è quella che è, in Italia e in Europa (e nel mondo), c'è stato un solo ed unico processo causale. A questo processo molti vogliono oggi fare il processo, mettendo sotto accusa la creazione dell'euro, sventolando, con un facile senno di poi, i difetti di partenza dell'avventura della moneta unica, disegnando tracciati alternativi che avrebbero potuto… e così via.

Più modestamente e più utilmente vorremmo qui discutere di un'iniziativa istituzionale volta a rafforzare le reti di sicurezza necessarie per alleggerire il peso del debito pubblico e farlo scivolare lungo il piano inclinato del risanamento.

Tutti ora sembrano in apparenza concordi sulle mosse da fare per riguadagnare la crescita. Equità, rigore e sviluppo - come nel logos del Dpef 2007-2011 elaborato dall'allora ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa - sono la triade che domina tutti i commenti. Il raggiungimento del pareggio nel 2013 sembra essere la nuova frontiera su cui misurare l'azione dei governi. Anzi, in linea con le indicazioni che ci vengono da Germania e Francia, dovremmo cercare di solennizzare questo impegno con una legge che, ponendo il pareggio del bilancio su un piedistallo costituzionale, sancisca una svolta nelle nostre istituzioni di finanza pubblica. Un pareggio con juicio, però, corretto per il ciclo e al netto delle una tantum.

È possibile costruire questo piedistallo? É cioè possibile costruire il superamento del limite come una questione di legittimità? Se si dà una risposta positiva , la domanda cruciale è: funzionerebbe? Dato che questo limite del pareggio "strutturale" va a operare in via di previsione (ex ante) e in via di correzione (ex post), bisogna vedere con quale procedura si costruisce e si sanziona. Chi lo costruisce e chi lo sanziona? È dunque un problema di organizzazione del potere.

Una robusta linea di pensiero, tecnico e politico, con una sorta di coazione a ripetere, utilizza schemi giustiziali che vorrebbero affidare questo controllo al doppio intervento della Corte dei Conti, in funzione istruttoria e della Corte Costituzionale in funzione decisoria. Se il pareggio del bilancio non fosse realizzato la pronuncia di illegittimità dovrebbe costringere il Governo in carica a correggere ex post i conti, con modi e qualità dell'intervento che resterebbero per intero nella disponibilità della maggioranza. Tuttavia il Governo sanzionato potrebbe sempre dire che non ha potuto fare diversamente perché il "cattivo" Parlamento non gli ha consentito di fare ciò che avrebbe desiderato. È una tiritera che conosciamo, anche in tempi di decreti legge, maxi emendamenti e fiducie a ripetizione, dove il Parlamento non fa che ratificare le diverse minestre che la maggioranza di turno gli propina in tempi ristretti.

Il nodo, ex ante ed ex post, è quello della valutazione accurata e credibile degli effetti delle misure prese, nel loro impatto diretto sugli equilibri di bilancio e nei loro effetti di retroazione sull'economia (crescita ed equità). Non è forse più appropriato allora immettere nel processo decisionale una misura di indipendenza e terzietà che aiuti i politici e i cittadini ad orientarsi, nettizzando, per quanto possibile il dibattito dai veleni di falsi tecnici già arruolati in anticipo e di giornali più o meno schierati? Bisogna insomma riaprire il tema di un'"autorità di bilancio" indipendente, di un fiscal council che, secondo le migliori esperienze straniere, integri e supporti il processo legislativo, fornendo a Governo, Parlamento e cittadini analisi non di parte. Non è un'idea nuova, ma è forse un'idea che ben si inserisce in un nuovo assetto dei nostri poteri di bilancio, che non si limiti alla ennesima ripetizione di esercizi di stile giuridico-contabile.

La propaganda, buona o falsa, continuerà a fare la sua parte; ma si può costruire un luogo dove se non altro le diverse posizioni tecniche sono esaminate e valutate nella loro consistenza; non per cercare una soluzione "neutra" alle questioni sul tappeto - la neutralità non esiste - ma almeno per depurare discussioni e decisioni dalle sciocchezze più evidenti. A partire dal 2003 abbiamo inserito nel nostro ordinamento poteri inediti di blocco della spesa per il Governo e i dirigenti che gestiscono il bilancio (c.d. decreto legge taglia spese); abbiamo inventato astruse clausole automatiche destinate a correggere errori di copertura; abbiamo di fatto annichilito il potere di controllo delle Camere, che devono votare in fretta testi impastati e reimpastati da un burocrazia spesso pasticciona; e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non è forse il momento per la classe politica di interrogarsi sul proprio rapporto con le burocrazie finanziarie e di immettere aria fresca nelle discussioni e nella decisione?

Sono esperienze, queste dei fiscal council, che hanno dato buone prove in altri Paesi e che, inoltre, si possono fare senza scomodare la Costituzione e con poca spesa, se si utilizzano con sapienza le competenze e gli status economico-giuridici in essere a vari livelli e se si rinuncia alle faraoniche bardature delle autorità indipendenti già create. Dovrebbe essere concepito come il luogo dove si esercitano i migliori specialismi, al servizio di una fase di emergenza del Paese.

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