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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2011 alle ore 07:48.
L'ultima modifica è del 30 settembre 2011 alle ore 06:40.

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La cifra, lo stile sono chiari. In questi tempi di grande incertezza in cui si inseguono disperatamente punti di riferimento, il nuovo arcivescovo di Milano Angelo Scola parla di «bene sociale» da perseguire insieme, sollecitando al «rischio della libertà». Ovvero, uno schietto invito al dialogo e alla ricerca dell'universale che accomuna: è l'esortazione di un uomo di Chiesa, certo, ma in qualche modo è anche una intensa lezione di laicità. «Mettere alla base qualcosa di solido quando tutto è fluido e precario – insiste il cardinale – vuol dire individuare per la vita un senso che sia al contempo significato e direzione. È semplice, ma non è banale. La strada, però, implica un appassionato e continuo confronto per riconoscersi e raccontarsi».

Parole convincenti, non prepotenti. Le ha pronunciate ieri sera al Museo diocesano del capoluogo lombardo, durante l'incontro rivolto a chi è impegnato nella cultura, nell'università e nelle comunicazioni sociali, uno dei quattro appuntamenti con altrettante porzioni di società civile con cui ha voluto avviare il suo ministero. Ha iniziato con il "mondo delle fragilità"; martedì 4 si vedrà con i rappresentanti dell'economia e del lavoro, giovedì 6 con la politica e gli amministratori locali. E ha già fatto intendere una strada, che peraltro è nella sua filigrana di intellettuale attento alle altre culture. Il riferimento è Milano, ovviamente, ma l'eco non è irrilevante anche per il palcoscenico nazionale: «Si è perso – incalza – quel senso della gratuità che fino agli anni Settanta ispirava chiunque s'impegnasse su fronti anche opposti nel sindacato, nei partiti, nelle istituzioni. A un certo punto, poi, è saltato tutto».

Per il nuovo arcivescovo – 70 anni il prossimo 7 novembre – Milano è «un ritorno a casa» e un'occasione per ripercorrere anche un po' la sua vita. Lo ha fatto aiutato dalle riflessioni del rettore dell'Università statale Enrico Decleva, dello scrittore Ferruccio Parazzoli, del giornalista Gianni Riotta. E di un pirotecnico Giacomo Poretti, attore, sceneggiatore e regista, componente del popolare trio Aldo, Giovanni e Giacomo che ha promesso «al "sindaco delle anime" di non perdere di vista Dio a patto che lui non perda di vista i giovani, gli oratori e la loro capacità d'insegnare la vita, anche attraverso il teatro». Un buon destro per Scola: «Ricordo il sacerdote che ci faceva giocare ma che ci leggeva Dostoevskij. Questa è la Chiesa che immagino, ben sapendo delle sue imperfezioni: l'attitudine ad abbattere ogni bastione, per accogliere tutti senza rinunciare a proporre il proprio volto. Non significa non essere curiosi o integralisti: quand'ero seminarista, nel 1968, andai con altri a Parigi proprio per ascoltare che si diceva oltralpe sulla contestazione. Dio, peraltro, ha compiuto una scelta strepitosa fin dall'inizio, incarnandosi, scegliendo di avere bisogno degli uomini. Una meraviglia».

Intanto arriva sempre più gente. Viene allestita all'esterno un'altra zona di ascolto con un grande schermo. Domande dal pubblico, desiderio di fare. «Domenica, in Duomo, ho volutamente parlato di Milano illuminata, operosa e ospitale - è ancora l'arcivescovo a parlare –, perché ci sono dei valori forti maturati nell'illuminismo lombardo, nel movimento operaio, nel cattolicesimo ambrosiano. Non bisogna aver timore di lasciarsi fecondare dall'ascolto dell'altro». I temi del meticciato culturale e del bene comune sono cari a Scola da tempo. Aggiunge: «Milano è una terra di mezzo allo scoperto. È un crocevia della diversità, non della differenza. Facciamone un'oasi, un luogo a cui guardare anche se so che è già sintonizzata su questa lunghezza d'onda. Il mio compito di servizio è collettivo, come dovrebbe esserlo per chiunque esercita un'autorità. E tutti dobbiamo trovare un "compromesso nobile" proprio in quel bene sociale che deve trasformarsi in scelta politica condivisa».

Quasi una lettera per Roma e per le classi dirigenti di adesso. Si è tutti nel buio, sgomenti di fronte al degrado, ma bisogna resistere senza perdersi d'animo. Non a caso, per tutto l'incontro era in evidenza uno dei dipinti simbolo del Museo diocesano di Milano, la lotta notturna di Giacobbe con l'angelo del Morazzone (Pier Francesco Mazzucchelli). Una tensione verso l'alto, la tenacia – e la speranza – d'intravedere una luce dopo l'oscurità.

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