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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2011 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 09 ottobre 2011 alle ore 13:51.

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Per un comprensibile istinto di sopravvivenza, quando i problemi sono molto seri, i governi come le persone tendono o a rimuovere o a scaricare su altri le responsabilità. Non stupisce, dunque, che si dica che la crisi attuale riguarda in varia misura tutti i Paesi e che l'Italia è presa di mira dai mercati finanziari solo per via dell'eredità antica del suo alto debito pubblico. La soluzione del problema deve dunque essere trovata a livello internazionale. In particolare spetta alla Germania tirarci fuori dai guai. E la Germania lo farà perché altrimenti andranno in crisi le sue banche e la sua economia.

La conclusione, chiarissima e talvolta resa esplicita, è che noi possiamo fare molto poco, nel senso che non risolveremmo i problemi neanche se avessimo la volontà e forza politica di attuare proposte incisive quali quelle contenute nel recente Progetto delle Imprese per l'Italia.

E così bastano pochi giorni di relativa bonaccia sui mercati finanziari per metter in moto un meccanismo di rimozione collettiva e far dimenticare ogni senso di urgenza. In attesa di soluzione, possiamo tranquillamente tornarcene alle vecchie abitudini, ai proclami e ai litigi cui da tempo ci ha abituato la politica italiana.

Quand'anche tutte le premesse di questo ragionamento fossero vere, la conclusione - che noi possiamo fare poco - sarebbe drammaticamente fallace. È indubbiamente vero che l'Italia, così come la Spagna, è «too big to fail», nel senso che una crisi del debito italiano non sarebbe un guaio solo per noi. Lo sarebbe per la Germania, per l'Europa e per l'intera economia mondiale. È per questo che della situazione italiana si stanno preoccupando le autorità di mezzo mondo, a cominciare da quelle americane e cinesi. La soluzione razionale per il resto del mondo e in particolare per la Germania è dunque quella di evitare che l'Italia arrivi al punto di rottura, il che può avvenire con i mezzi più disparati: acquisti di titoli da parte della Bce, un mega fondo salva Stati, gli eurobond di Tremonti e Junker, gli eurounion bond di Prodi e Quadrio Curzio. Persino la completa monetizzazione del debito italiano con conseguente inflazione in tutta Europa sarebbe un male minore rispetto alla crisi del debito italiano o, peggio ancora, alla rottura dell'euro.

Di qui la convinzione, abbastanza diffusa, che una qualche soluzione verrà trovata a livello internazionale. In effetti, questo è ciò che un freddo calcolo costi-benefici suggerirebbe. Con parole più brutali, il ragionamento è che viviamo in un equilibrio basato sulla paura, un po' come nella guerra fredda. Se i tedeschi ci lasciano andare alla deriva, la bomba scoppia da noi, ma un minuto dopo scoppia anche da loro. Dunque prevarrà la pace. Nella guerra fredda, fortunatamente, andò a finire effettivamente così.

Il problema di questo ragionamento è che la storia spesso non procede per calcoli razionali. I conflitti a volte scoppiano sostanzialmente per sbaglio, o comunque per uno sfortunato concatenarsi di eventi che portano alla rottura, ben oltre la volontà di ogni singolo attore. Oggi nessuno vuole la guerra e la pace, ancorché basata sulla paura, rimane l'esito più probabile. Ma le tensioni che attraversano l'Europa, al di là dell'ufficialità, sono senza precedenti in questo dopoguerra. E può bastare una piccola scintilla per mettere in moto reazioni incontrollate.

Il punto è che non tutti hanno capito cosa c'è dietro l'angolo. Sembra averlo capito la signora Merkel, ma non lo hanno capito i suoi elettori e la stampa tedesca. Ed è improbabile che capiscano. Perché mai il contribuente tedesco dovrebbe venire in soccorso di popoli, come l'Italia o la Grecia, che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità, non hanno fatto le riforme che erano necessarie per la competitività, sono venuti meno al solenne impegno assunto al momento dell'ingresso nell'euro di ridurre il loro debito pubblico, per tanti anni hanno lasciato correre la spesa pubblica? Che senso ha in queste condizioni parlare di solidarietà europea?

In questo quadro, i sentimenti e le paure dell'elettore tedesco sono strettamente correlati con l'andamento degli spread finanziari. Diviene allora evidente che dobbiamo fare ogni sforzo per aiutare la politica tedesca ed europea a prendere le decisioni giuste. E ciò richiede che, all'estero, l'opinione pubblica percepisca che stiamo facendo degli sforzi veri per riscattarci, che stiamo facendo quelle riforme spesso impopolari che i tedeschi hanno già fatto per ridurre la spesa pubblica e migliorare la competitività delle imprese.

È questo un motivo in più per fare in pochi mesi le riforme che avremmo dovuto fare, per il bene dell'Italia e degli italiani, negli ultimi dieci anni. Dobbiamo contribuire a diluire le tensioni in Europa, dobbiamo assolutamente evitare che una scintilla provochi un incendio. Di certo non possiamo pensare di salvarci se ci ostiniamo a difendere un sistema fiscale iniquo o a mandare in pensione le persone a 58 anni, due temi sui quali i tedeschi non hanno fatto sconti alla Grecia e non sono disposti a farli a noi.

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