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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2011 alle ore 08:04.

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Ancorché Acciaccata (la doppia A di un possibile rating versione italocentrica) e molto indebitata (il Financial Times ha però scritto che il nostro debito è una scommessa migliore della vera tripla A inglese), l'Italia è la terza economia dell'eurozona, la seconda potenza manifatturiera europea e il Paese in cui la sua diffusa imprenditorialità, nonostante gli ostacoli, resta un caso studiato in tutto il mondo.

Ieri Mario Draghi, in pratica nel suo discorso di commiato da Governatore della Banca d'Italia prima di assumere la guida della Banca centrale europea (Bce), ha detto che nel Paese «non mancano vitalità e voglia di crescere» e ha fatto appello alla politica perché spezzi il «circolo vizioso» dei veti incrociati posti dalle «robuste coalizioni distributive» che impediscono la crescita. Il tutto, all'insegna di un condivisibile presupposto di fondo: dobbiamo convincerci che la salvezza e il rilancio dell'economia italiana possono venire solo dagli italiani.
Già, la politica. Nel pieno di una crisi internazionale senza precedenti, il Paese merita, prima di tutto, di essere governato in modo efficace e credibile. A tutti coloro cui spetta questo compito, a partire dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è richiesto, nell'esclusivo interesse nazionale, un impegno commisurato agli obblighi assunti in Europa. Non ci sono scorciatoie e furbizie tattiche che tengano, compresa quella di un governo-non-governo sostenuto da una maggioranza che brilla più per i suoi contorcimenti politici interni che per saldezza programmatica e chiarezza d'intenti.

Dopo il voto alla Camera che ha bocciato il rendiconto dello Stato, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sollecitato Berlusconi (oggi il suo discorso alla Camera e domani il voto di fiducia) e la maggioranza a dare una risposta netta sulle reali possibilità di azione di questo Governo nella stagione in cui l'Italia, un giorno dopo l'altro, da un'asta di titoli pubblici all'altra, è sottoposta sui mercati a un esame severo di credibilità a colpi di tassi d'interesse.
Conteranno alla fine i numeri, è evidente, ma è altrettanto un fatto che questo voto di fiducia, oltre che dall'aritmetica parlamentare, deve essere corroborato da una scelta politica trasparente, inequivoca e puntuale sul da farsi nei prossimi giorni. Se il presidente del Consiglio, chiuso fino a ieri nell'angolo delle mediazioni che producono solo altre mediazioni, non è in grado di dare questa risposta piena ed esaustiva, non sarà una maggioranza raccogliticcia, istituzionalmente sciatta e divisa al proprio interno ad evitargli da qui a poco un'altra débâcle parlamentare che lo porterà dritto alle dimissioni e alla dichiarazione di fallimento di una lunga esperienza politica incarnatasi nella sua persona.

Occorre agire con rapidità, è stato già perso troppo tempo, ha osservato Draghi. La road map tracciata da Bankitalia è quella suggerita dal buon senso oltre che dalle evidenze economiche e finanziarie. Il costo del debito sta salendo, ed è indispensabile che i decreti attuativi (per i tagli permanenti alla spesa corrente) figli della manovra-bis che punta al pareggio di bilancio entrino in pista prima possibile. Ma è urgente spingere anche sul pedale della crescita, e il discorso si sposta sulla (fin qui) dimenticata politica di sviluppo, che il ministro dell'Economia Giulio Tremonti vorrebbe 'a costo zero' e che il premier vorrebbe invece più incisiva. Un motivo di tensione profonda tra i duellanti di questa stagione che fa il paio con la controversa scelta del successore di Draghi al timone della Banca d'Italia.
Sono tutti terreni, questi, dove la coesione politica e sociale (metodo più volte richiamato da Napolitano), anche oltre il recinto della maggioranza, potrebbe far fruttare qualcosa di più e di meglio dello scontro permanente dentro la coalizione di governo e tra la maggioranza e l'opposizione. Draghi ha fatto riferimento ieri agli anni della lotta contro il terrorismo «in cui si manifestò la concordia di fondo del Paese, al di là del necessario e duro confronto politico». Abbiamo oggi bisogno della stessa ispirazione e della stessa intelligenza, ha concluso.

È un richiamo che fa riflettere e che può far certamente discutere. Sappiamo però come andò a finire molti anni fa: la battaglia contro il terrorismo fu vinta. Oggi dobbiamo cercare un'altra salvezza, per noi e per l'Europa, non meno cruciale. La troveremo, certamente, ma non sappiamo ancora come.

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