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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2011 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2011 alle ore 08:04.

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Era quello che accadeva nella Prima Repubblica, ma da allora molta acqua è passata sotto i ponti. In ogni caso, come ha rilevato il costituzionalista Augusto Barbera, meglio avrebbe fatto il premier a salire le scale del Quirinale e a concordare con il capo dello Stato i passi da compiere, compreso il dibattito a Montecitorio.

A questo punto stiamo per assistere alla Camera al più importante fra gli innumerevoli voti di fiducia chiesti a raffica dall'esecutivo in carica. Potrebbe essere l'ultimo, se il malessere della maggioranza si tramutasse in un atto di rivolta. E ci si può ribellare non solo votando a sfavore, scelta comunque difficile, ma anche assentandosi, cioè non partecipando. Detto questo, quante probabilità ci sono che Berlusconi cada domani con voto palese? Davvero poche, in pratica nessuna. Eppure pochi credono che la fiducia afferrata per la coda gli garantirà una navigazione tranquilla. Nessuno prevede che il voto darà vita, quasi per magìa, al «rilancio» del governo, finalmente libero di essere efficiente e volto - come dice Alfano - a realizzare uno snello programma di fine legislatura.

La realtà è molto diversa e non solo perché il presidente del Consiglio ha già fatto mille volte il discorso del «rilancio». Non solo perché egli parlerà davanti a un'aula vuota per metà, disertata da tutte le opposizioni. Scelta in sé discutibile, dal sapore molto «aventiniano», ma di forte impatto mediatico, in grado di trasmettere un'idea di desolazione e di «fine regno». Del resto, i veri problemi del presidente del Consiglio sono gli stessi che esistevano prima del passaggio parlamentare e continueranno a esistere dopo: la nomina al vertice della Banca d'Italia, il profilo del decreto sviluppo, l'impossibilità di opzioni concrete per aiutare la crescita. Sullo sfondo, il determinante rapporto con la Lega che si va indebolendo giorno dopo giorno.

Dunque si torna alla domanda iniziale: basta la fiducia? Sul piano politico no, non basta, se il campo è occupato da una maggioranza sfiancata e inerte. Una maggioranza che da un lato dice sì al governo e dall'altro è virtualmente in crisi. Il rischio è che si entri in un terribile ping-pong: incidente parlamentare seguito da voto di fiducia, poi nuovo incidente e nuovo voto di fiducia. E così via per i prossimi mesi. Un corto circuito che il paese non merita. In fondo è questo che Napolitano ha voluto dire con la nota di ieri mattina, in cui ha parlato di necessaria «credibilità» del governo. Non è una forzatura costituzionale, come qualcuno ha voluto credere, ma una realistica fotografia della situazione. Dalla quale non si conosce con certezza la via d'uscita.

In altri termini, il pericolo è che domani sia data la fiducia non al governo, ma al non-governo. Per esorcizzare questa prospettiva Berlusconi dovrebbe fare un intervento imprevedibile. Annunciare novità anche sulla struttura del governo. Comunicare il nome del nuovo governatore di Bankitalia. Offrire garanzie che non esistono più problemi né con la Lega, né con Scajola e nemmeno con i Responsabili. Se non farà almeno un paio di queste cose, prepariamoci al prossimo incidente, alla prossima tappa di un declino inarrestabile.

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