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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2011 alle ore 10:12.

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L'ultima moda è quella di mettere in Costituzione l'obbligo di un bilancio pubblico in pareggio. L'ha fatto la Germania nel 2009; lo sta facendo la Francia; l'ha fatto quest'estate la Spagna; finiranno col farlo tanti altri Paesi, e probabilmente anche l'Italia. Come ogni moda, il primo motivo è l'imitazione: se l'hanno fatto altri ed è stato loro utile, sarà bene farlo anche noi!

Nel caso della Spagna, s'è visto benissimo che la cosa ha avuto un effetto benefico, almeno nell'immediato: è subito migliorato lo spread dei loro titoli rispetto a quelli tedeschi; anche perché la riforma è stata rapida e condivisa (dopo le dimissioni di Zapatero, il voto dell'opposizione era indispensabile).

Come in passato con l'autonomia della Banca Centrale pensata per garantire la stabilità monetaria, dopo anni di tanta inflazione, anche questa moda è anzitutto la reazione ai vizi del passato. Abbiamo per anni fatto debiti eccessivi, e ora a conferma del nostro pentimento vogliamo impegnarci a non peccare più, limitando l'autonomia stessa dei futuri Governi. È questo l'obiettivo di una norma costituzionale: stabilire un valore da condividere (l'equilibrio del bilancio pubblico); e guidare l'azione di ogni Governo, a prescindere dalle sue scelte politiche.

Proprio perché queste norme di rango costituzionale, che mirano a rendere più robusto l'equilibrio del bilancio pubblico di ciascun Paese, sono spesso evocate (e l'ha fatto la stessa Commissione Ue) per garantire il rispetto di quanto già previsto dai Trattati europei, c'è da domandarsi se non converrebbe limitarsi a ripetere esattamente quella formulazione. Ricordiamo di cosa si tratta. Dal Trattato di Maastricht (1992) in poi - e l'ha ribadito il nuovo Patto di stabilità, in corso di approvazione - abbiamo due parametri da rispettare: un rapporto debito pubblico/Pil da contenere al 60%; e un deficit pubblico che - sempre rispetto al Pil - non deve superare il 3%. Questi due parametri, direttamente misurati rispetto al reddito nazionale, tengono conto solo in parte - proprio perché "puntuali", cioè riferiti allo stesso anno - del principio che è implicito nella norma stessa. Cioè il principio che finanziare in deficit la spesa pubblica è utile solo se contribuisce alla crescita del reddito nazionale. Esistono ovviamente altri criteri di stabilità dei bilanci pubblici. Uno è quello di ammettere l'indebitamento solo per le spese di investimento, il bilancio di parte corrente dovendo essere sempre in pareggio. Un altro criterio è quello di riferire il necessario pareggio al cosiddetto "bilancio strutturale", cioè quello che non varia con il ciclo economico.

All'Italia cosa conviene fare? Abbiamo già un bel disegno di legge presentato al Senato il 2 agosto scorso dal senatore Nicola Rossi e altri, che è ben scritto e ben spiegato. Il problema però è un altro. Ed è quello più generale dovuto al fatto che nel frattempo ogni Paese sta facendo scelte diverse. Alcuni (noi compresi, con il ddl di Nicola Rossi) scelgono il modello tedesco che è quello del pareggio del bilancio strutturale, cioè al netto del ciclo economico. Altri guardano al modello francese, che è quello del pareggio del bilancio di parte corrente. Ma le differenze non sono di poco conto, e riguardano la filosofia stessa della politica economica in una Unione monetaria che si vorrebbe progredisca e non arretri a ogni crisi, come ancora sta facendo da due anni, avendo delegato al Fondo monetario internazionale la cura di una sua parte.

E il problema riguarda proprio la distinzione dei compiti tra ciò che fanno i governi nazionali e ciò che dovrebbe fare il governo comune.

Questo modo casuale con cui ogni Paese è libero di modificare la propria Costituzione per recepire a suo piacere un dovere di finanza pubblica equilibrata lascia infatti irrisolti proprio i due maggiori problemi che l'Unione ha di fronte a sé: anzitutto chi e come realizza una politica anticiclica, visto che abbiamo già una sola macroeconomia. E ancora, chi e come progetta, realizza e finanzia le opere infrastrutturali che interessano l'Unione.

Se le modifiche delle diverse Costituzioni dovevano anche servire a farci diventare un po' più europei, questa è l'ennesima occasione perduta, perché stiamo tutti, a cominciare dalla Germania, limitandoci a mettere in Costituzione l'obbligo di un bilancio in pareggio, senza aver prima concordato come ciò potesse aiutarci a diventare un po' più europei.

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