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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2011 alle ore 07:39.
L'ultima modifica è del 18 ottobre 2011 alle ore 06:39.
A due giorni dalle violenze di Roma, si fa il bilancio dell'ennesima manifestazione pacifica sporcata da duecento delinquenti, professionisti del disordine organizzato, che hanno messo la sordina alle legittime proteste di duecentomila giovani.
Le domande sono le solite: si poteva evitare? Quali provvedimenti devono essere adottati per evitare che succeda ancora? I nomi e le sigle sono note, i luoghi in cui i professionisti della violenza si riuniscono altrettanto. Qualcuno prenda il numero di targa dei pullman che li trasportano in giro per l'Italia, dalla Val di Susa a tutte le città in cui qualcuno protesta, e provveda a fermarli. Le leggi, severe, ci sono e andrebbero applicate. Se si trova un accordo bipartisan per renderle più dure, lo si faccia rapidamente.
Detto questo, è intollerabile che si confondano, anche lontanamente, le ragioni di chi protesta con gli atti di violenza. Chi spacca le vetrine non merita che politici e intellettuali sprechino una sola parola in loro difesa, come invece sottilmente avviene. L'Italia, per cultura e tradizione, non sarà mai l'Inghilterra, il Paese in cui le madri hanno denunciato i figli dopo averli riconosciuti nei gruppuscoli spaccavetrine. Almeno, però, evitiamo il giustificazionismo cultural-mammista. Chi commette reati, e i cortei non sono zona franca, va perseguito senza se e senza ma.
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