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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2011 alle ore 08:16.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2011 alle ore 09:03.

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La serena continuità della vita della Banca d'Italia, in questo momento, è in mano a 13 signori - perlopiù imprenditori e professori universitari - che compongono il Consiglio Superiore. Sono loro che lunedì prossimo dovranno probabilmente votare sul nome di Lorenzo Bini Smaghi come prossimo Governatore. Ma il parere favorevole, per la prima volta nella secolare storia della banca centrale, non è affatto scontato.

Già, perché il braccio di ferro in corso da giugno sulla successione a Mario Draghi ha creato un clima di tensione che ha messo in luce come le spinte ossessive della politica - tra Berlusconi, Tremonti e Bossi - abbiano messo a repentaglio uno dei pilastri della banca: l'indipendenza. Ed è essenzialmente su questo che il Consiglio superiore è chiamato a vigilare, assieme al rispetto delle procedure.

Tredici signori chiamati dai principali capoluoghi di regione a rappresentare il tessuto del Paese all'interno della banca centrale, e di cui all'esterno ci si ricorda dell'esistenza ogni volta che si deve nominare il governatore. Fu così nel 2005, e ancora prima nel 1993. Ma tra le due nomine è cambiata la procedura, dopo il periodo di Antonio Fazio, tanto che Mario Draghi fu nominato con il nuovo iter. Lo scopo fu quello di depotenziare l'autoreferenzialità dell'istituto, considerata eccessiva. «Ma oggi in effetti abbiamo più più potere di prima, e questo lo si vede chiaramente» dice un consigliere superiore.

In precedenza era previsto che il Consiglio votasse un nome, che poi passava al vaglio di Palazzo Chigi e del Quirinale. E quindi era in testa alla catena dei passaggi. Ma si trattava di un potere apparente: i 13 votavano il nome deciso dal governo, d'intesa con il Colle, ma sempre rispondente al criterio di indipendenza. La riforma ha rovesciato l'iter: è il presidente del Consiglio che propone un nome e il Consiglio che deve dare un parere, non vincolante, a maggioranza di due terzi. Quando fu proposto Draghi passò all'unanimità, che poi è l'unico quorum che fino ad oggi era contemplato nelle stanze della banca centrale. Ma oggi la situazione potrebbe cambiare.

Quello del Consiglio Superiore è un parere non vincolante, ma molto pesante, perché rappresenta "la banca", e in qualche modo riflette la sensibilità della Presidenza della Repubblica. Procedere anche in caso di parere negativo è possibile, ma rischioso. «Noi siamo qui per tutelare l'indipendenza dell'istituto, e il rispetto delle procedure di legge: a questo siamo chiamati, e faremo il nostro dovere fino in fondo» afferma un altro consigliere. Insomma, quello che emerge alla vigilia dell'invio della lettera del premier è che Bini Smaghi - pur vantando di un curriculum all'altezza del ruolo - non riscuoterebbe il pieno consenso.

«La qualità», aggiunge Paolo Blasi, consigliere anziano (che quindi per statuto deve convocare le riunioni straordinarie, quelle delle nomine), «è soltanto uno degli aspetti di cui saremo chiamati a tener conto nel nostro parere, motivato e meditato. Mi vengono in mente la garanzia che il candidato può dare sull'autonomia della Banca o la sua esperienza nell'attività dell'istituto che oggi ha soprattutto compiti ispettivi sulle banche in un momento di grande turbolenza».

Alcuni consiglieri lamentano come sia stata gestita la vicenda e le reiterate richieste di Bini Smaghi di essere nominato alla guida di Bankitalia in cambio delle dimissioni da membro del direttivo della Bce, tema su cui ha avuto vari colloqui con Berlusconi. Ma ormai il calendario preme per una decisione: Draghi si insedierà il 1° novembre e allora la Francia resterà senza un membro nel board. Fatto impensabile, a Parigi (e in tutto l'eurogruppo). Nicolas Sarkozy aveva avuto rassicurazioni in questo senso sia dal Cavaliere che dallo stesso Bini Smaghi, ma evidentemente la questione si è complicata. E Berlusconi non si può presentare al vertice di domenica prossima senza una soluzione. Che al momento solo la nomina di Bini Smaghi a Via Nazionale gli può garantire.

Ma queste variabili geopolitiche poco interessano ai consiglieri. «Siamo chiamati a fare il nostro compito una volta ogni sette anni, e lo dobbiamo svolgere» afferma un membro. Che si spinge oltre: «Il voto favorevole deve essere espresso con maggioranza di due terzi: se io dovessi votare contro un nome proposto credo che poi dovrei trarne le conseguenze». Dimissioni? «Non so, è la prima volta che un fatto del genere accadrebbe, ma non vedrei ragioni per rimanere al mio posto».

Naturalmente sopra tutti vigila il Quirinale, che non potrà non tenere conto del quadro internazionale e di quello che uscirà dal delicato vertice di Bruxelles di domenica. Se Berlusconi si presentasse al vertice europeo (dalla Ue peraltro sono arrivate pressioni per una rapida soluzione) con la procedura avviata per Bini Smaghi - e quindi con la sicurezza di una sua prossima uscita dalla Bce, spianando così la strada per l'arrivo di un membro francese - si renderebbe complicato far saltare il banco.

Ma il problema riguarda solo Bini Smaghi? «Non è una questione di persone - ribadisce un consigliere - ma di modalità. E quella con cui si arriverebbe a questo nome non è certo un esempio di indipendenza». Insomma, nel Consiglio si ritiene che ad oggi qualsiasi soluzione che arrivi dall'esterno della banca è in qualche modo da ricondurre a pressioni politiche. Molto graditi erano e rimangono i nomi di Fabrizio Saccomanni e Ignazio Visco, ma anche di Annamaria Tarantola, spuntata ieri sera. La nomina di uno dei tre metterebbe in moto un giro di nomine interno: se si liberasse un posto in direttorio entrerebbe probabilmente Franco Passacantando, e in sequenza i nomi più gettonati sono quelli di Salvatore Rossi e Sandro Appetiti.

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