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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2011 alle ore 07:26.
L'ultima modifica è del 21 ottobre 2011 alle ore 06:39.

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La via crucis della Gianfranco Ferré non è ancora terminata. L'ultima mossa nella complessa gestione successiva alla crisi dell'azionista It Holding è stato, lo scorso febbraio, il passaggio del controllo nelle mani della Paris Group di Dubai.

A deciderlo, sono stati i tre commissari straordinari nominati dal ministro dello Sviluppo economico che – forse anche a causa di carenza di alternative – si sono fidati troppo delle capacità di un gruppo di fatto specializzato solo nel canale retail in Medio Oriente e Russia. Le promesse di Abdulkader e Ahmed Sankari, padre e figlio, di rilanciare uno dei marchi storici della moda made in Italy sono finite in soffitta: il turnaround dei conti in tre anni, con un investimento di 30 milioni per «riportare il brand al suo status di icona», è svanito nel nulla. In rapida successione, sono stati accompagnati alla porta i due direttori creativi e l'amministratore delegato. Poi, visto il pressing dei commissari delegati a vigilare sugli sviluppi, i Sankari hanno disperatamente cercato di assumere un Ceo di grido. L'architetto Ferré, uno dei maestri della storia della moda, l'unico italiano ad avere (finora) diretto anche la maison Dior, non si merita un simile trionfo di superficialità.

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