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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2011 alle ore 09:52.
L'ultima modifica è del 24 ottobre 2011 alle ore 10:16.

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Le timide aperture a un'imposta patrimoniale ordinaria, annuale e con bassa aliquota (si veda anche l'articolo di Guido Tabellini sul Sole 24 Ore del 18 settembre, "Patrimoniale non significa crescita", e il dibattito tra Pietro Modiano e Franco Debenedetti sul Sole 24 Ore del 25 settembre), meritano di essere rilanciate, saldando gli spunti di carattere economico (il gettito potenziale, la distribuzione della ricchezza degli italiani, l'utilizzo dell'imposta per abbattere il debito pubblico eccetera), con i princìpi giuridici della tassazione individuale.

Ma quali sono, nella prospettiva di un equo, efficiente e socialmente accettabile riparto dei carichi pubblici, le ragioni a favore di un'imposizione patrimoniale ordinaria, applicata su un'ampia base imponibile che includa la ricchezza immobiliare, societaria e finanziaria, detenuta dagli individui, e con un'aliquota molto bassa?

Nel sistema italiano "redditocentrico", un'imposizione patrimoniale consentirebbe una maggiore perequazione nella distribuzione dei carichi tributari; il patrimonio costituisce, forse più del reddito, un rilevante indice di ricchezza e un forte elemento di differenziazione della posizione economico-sociale degli individui nella società. Si pensi al vantaggio del proprietario dell'abitazione, rispetto a chi - a parità di reddito - deve impiegarne una parte consistente per pagare un affitto. La presenza di un patrimonio, accanto a dei flussi reddituali, potrebbe addirittura giustificare una diversa idoneità alla contribuzione dei redditi stessi.

Nell'attuale sistema, che non considera la capacità economica complessiva dell'individuo ma soltanto aspetti parziali della stessa (tassando a compartimenti stagni il reddito, i consumi e alcuni limitati aspetti del patrimonio - come le seconde e terze case colpite dall'Ici), rinunciare aprioristicamente a una tassazione dei patrimoni appare contrario a un principio di equità tributaria e di perequazione. Per inciso, un'imposizione del genere potrebbe costituire l'occasione per recuperare a tassazione patrimoniale la prima casa, affrettatamente esclusa dall'Ici.

Il patrimonio, poi, è molto più tracciabile dei redditi, specie di quelli che non vengono intercettati e segnalati da aziende e sostituti d'imposta. Gli immobili, i complessi aziendali, le partecipazioni societarie e la ricchezza finanziaria depositata presso banche e intermediari abilitati, non sono certo occultabili, dunque un'imposta ordinaria sul patrimonio potrebbe contare su una base imponibile molto ampia e, conseguentemente, essere applicata con una bassa aliquota (applicando anche opportune fasce minime di esenzione).

L'aliquota mite scongiurerebbe fenomeni di rimozione del presupposto (fuga di capitali all'estero), nella misura in cui i costi del trasferimento e mantenimento all'estero dei patrimoni, uniti al rischio che ne venga sanzionato l'occultamento, indurrebbero gli individui a non modificare le proprie scelte allocative.
Si tratterebbe dunque di un'imposta con un limitato rischio di evasione ed elusione, nemmeno attraverso intestazioni societarie "di comodo", considerato che nella base imponibile entrerebbero anche le partecipazioni societarie e dunque, mediatamente, anche i beni intestati a società e imprese.

Attraverso un'imposizione patrimoniale, potrebbero inoltre essere recuperati a tassazione anche patrimoni formatisi in evasione d'imposta, facendo così contribuire, se non altro in questa forma, anche i redditi precedenti evasi.
Un'imposizione di tipo patrimoniale richiederebbe un costante monitoraggio dei patrimoni posseduti dalle famiglie italiane, consentendo un incrocio con la posizione redditualmente rilevante degli individui. Estendendo l'obbligo di comunicare al fisco le proprie attività patrimoniali, si agevolerebbe un controllo incrociato di congruità e ragionevolezza rispetto ai redditi dichiarati. La tassazione patrimoniale avrebbe dunque potenziali effetti virtuosi anche sulla tax compliance reddituale.
Vanno dunque riprese e affinate le proposte di differenziare la tassazione patrimoniale in funzione dei precedenti redditi dichiarati dal contribuente. Sarebbero così tassati di più i patrimoni formatisi con redditi non tassati, incentivando la dichiarazione dei redditi posseduti, che darebbe diritto a una franchigia o riduzione nell'imposizione patrimoniale.
Questa differenziazione risponderebbe inoltre alle obiezioni di principio alla tassazione patrimoniale incentrate sull'argomento della "doppia tassazione del risparmio".
(Ordinario di Diritto tributario all'Università di Trieste)

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