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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2011 alle ore 06:39.

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Il nostro Paese in questi ultimi mesi di crisi ha perso a tal punto credibilità che lo spread dei titoli di Stato italiani rispetto ai bund tedeschi si è spinto molto al di sopra quello della malconcia Spagna. Ciò a causa di un governo incerto e indebolito da divisioni interne e veti incrociati, scandali del premier e rocambolesche peripezie della manovra estiva, tentennamenti sulla nomina del nuovo Governatore della Banca d'Italia e il risicato voto di fiducia in Parlamento dopo il voto negativo sul consuntivo di bilancio.

Non solo la Commissione Ue, ma anche la Merkel e Sarkozy ci strigliano platealmente su riforme e misure per la crescita. Con tanto di supponenti risatine da parte del presidente francese, giustamente stigmatizzate da Pier Ferdinando Casini sul suo blog: un conto è criticare Berlusconi un altro è ridicolizzare l'Italia.

Eppure basterebbe poco per dare a chi ci critica o ci guarda con diffidenza un segnale di reazione e di progettualità. Anche per non diventare dopo la Grecia il facile capro espiatorio di un'Europa in crisi, dove tutti hanno notevoli debolezze, Francia e Germania comprese.
Volendo, iniziative per la crescita e riforme importanti si potrebbero decidere rapidamente. Per esempio, già nella sua audizione alle commissioni riunite del Parlamento sulla manovra finanziaria, il 30 agosto scorso, il neo-governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco aveva indicato una possibile via per rilanciare lo sviluppo: una riduzione delle aliquote contributive non pensionistiche delle imprese (che diventerebbero così più competitive, con un aumento del Pil stimato intorno al 0,3-0,4%) finanziata con un prelievo sugli immobili. Ma il governo, che ha basato la sua campagna elettorale sull'abolizione dell'Ici, di fronte a una simile opzione è indeciso. E su una riforma più incisiva delle pensioni, che permetterebbe di liberare risorse per l'economia, ha le mani legate per il veto populistico della Lega.

Tuttavia, nonostante il caos politico-istituzionale ci debiliti giorno dopo giorno, il Paese è ben vivo nei suoi punti di forza, come mostra lo straordinario dinamismo dell'export, con le vendite ai Paesi extra Ue di settembre superiori addirittura del 7,4% al massimo pre-crisi. Persino sulla crescita, la revisione delle serie storiche del Pil italiano operata dall'Istat, ha alzato la nostra crescita 2010 dall'1,3% all'1,5%. Dunque, lo scorso anno siamo cresciuti più della Francia. Se poi calcolassimo la variazione del Pil del 2010 degli altri maggiori Paesi Ue – ipotizzando anche per essi una diminuzione della loro spesa pubblica nella stessa misura in cui l'Italia l'ha virtuosamente abbassata prima di tutti (-0,5%) – il nostro Pil 2010 risulterebbe essere stato secondo per incremento solo a quello della Germania, con la Francia staccata (addirittura di uno 0,5%). Fatto non trascurabile, la revisione delle serie del Pil ha anche ridotto il livello del debito pubblico italiano del 2010 dal 119% al 118,4%: 0,6 punti in meno.

Lo scorso 7 giugno avevamo scritto su questo giornale che le esportazioni italiane stavano rapidamente riguadagnando terreno rispetto a quelle tedesche. Prevedendo che tra ottobre 2010 e settembre 2011 l'export italiano sarebbe tornato intorno ai 370 miliardi di euro, praticamente ai massimi storici. Ciò è avvenuto. La seconda notifica Eurostat sui deficit e i debiti pubblici dei Paesi Ue del 21 ottobre ha inoltre confermato il nostro deficit/Pil del 2010 al 4,6%; rispetto alla prima notifica dello scorso 26 aprile il deficit tedesco è stato alzato dal 3,3% al 4,3 per cento. Insomma, nel 2010 il disavanzo statale italiano è diminuito di 11 miliardi mentre quello della Germania è aumentato di quasi 30. L'Eurostat ha rettificato al rialzo il deficit francese dal 7% al 7,1%, quello spagnolo dal 9,2% al 9,3%, quello greco dal 10,5% al 10,6% e quello portoghese dal 9,1% al 9,8 per cento. Quanto poi al 2011, la nostra manovra finanziaria 2011-2014, pur partorita a fatica e discutibile in molti punti, consentirà all'Italia di centrare gli obiettivi di riduzione del deficit quest'anno e l'anno prossimo. E i Pigs? È ormai noto o assai verosimile che falliranno i loro target, Spagna compresa.

Sul debito pubblico l'Italia ha da lavorare molto. Ma non sono accettabili facili lezioni da Germania e Francia o dagli Usa. Massimo Mucchetti sul "Corriere della Sera" e Mario Deaglio sulla "Stampa" hanno ricordato che i circa 400 miliardi di passività della KfW, una sorta di Iri tedesco, curiosamente non rientrano nel perimetro del debito pubblico della Germania, che altrimenti sarebbe vicino al 100% del Pil. Secondo l'Fmi nel 2016 il debito Usa supererà quello italiano, mentre Luigi Zingales su queste colonne ha spiegato che se la Francia dovesse "salvare" con i propri soldi le sue banche, il debito pubblico di Parigi arriverebbe oltre il 130% del Pil.

D'altronde, i dati Eurostat sui rapporti debito/Pil aggiornati alla fine del secondo trimestre 2011, indicavano che già a quella data l'Italia era tra i Paesi Ue con la più bassa crescita dell'indebitamento pubblico rispetto al secondo trimestre dell'anno prima. Tra giugno 2010 e giugno 2011 il nostro rapporto debito/Pil è cresciuto di 2,3 punti di Pil, quello francese di 2,6 punti, quello inglese di 5,5 e quello tedesco di 5,6. Quanto ai debiti pubblici dei Pigs, quello spagnolo è aumentato negli ultimi dodici mesi di 8 punti di Pil, quelli greco e portoghese di circa 18 punti, quello irlandese di oltre 25 punti.

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