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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2011 alle ore 08:37.

Il rischio concreto, stando ai bene informati che hanno seguito da vicino il consiglio dei ministri di ieri sera, è che la montagna finisca per partorire un altro topolino. Com'è accaduto con il decreto di Ferragosto, quando sul dossier pensioni s'era aperto un confronto che pareva promettere interventi a tutto campo – persino la contestatissima, e poi ritirata, norma per azzerare i riscatti degli anni universitari – e che poi si è chiuso su una misura piccolissima, vale a dire l'anticipo dal 2016 al 2014 della lunga scalettatura che porterà al graduale innalzamento a 65 anni dell'età di vecchiaia delle dipendenti del settore privato.
Ieri quando i ministri sono usciti dalla sala del Consiglio il massimo di ipotesi di intervento rimasta sul campo sembrava essere la possibilità di accedere a «quota 97» con i 62 anni di età invece che con i 61 previsti dalla riforma Damiano del 2007. Uno stop che, al massimo, potrebbe riguardare 60-70mila lavoratori, con risparmi che ben difficilmente potrebbero arrivare a 200 milioni l'anno. I ministri della Lega, tra l'altro, non hanno detto che su quest'ipotesi sono pronti a trattare ma che, al massimo, se ne potrebbe parlare. Lasciando comunque fuori dal tavolo qualunque possibilità di intervento sulle anzianità che si possono raggiungere con 40 anni di contributi.
Che cosa ne penserà l'Europa? Le pensioni di anzianità, ha ricordato ieri mattina nel corso di una trasmissione televisiva il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, sono un unicum dell'Italia. Un unicum su cui s'infrange ogni confronto politico, anche quando a riaprirlo è proprio l'Europa, che ci chiede iniziative urgenti per rassicurare i mercati. Eppure non sarebbe impossibile far percorrere questo «ultimo miglio» al cantiere della pensioni. «Io credo che la politica e le parti sociali hanno tutti gli elementi per poter prendere decisioni allineando quello che è un Paese sano e un sistema pensioni sano al resto d'Europa» ha ripetuto ieri il presidente dell'Inps. Ricordando che tutte le riforme che sono state fatte dal '92 ad oggi, «hanno sempre non solo tenuto saldi i diritti acquisiti ma hanno sempre rispettato una certa gradualità, per far sì che nessuno rimanesse imbrigliato dentro il sistema pensionistico».
Chiudere con le pensioni di anzianità, pur rispettando quello stesso approccio graduale, significa toccare anche i ritiri anticipati di chi ha 40 anni di contributi e oggi può andare in pensione a qualsiasi età. Semplicemente perché questi ultimi rappresentano la maggioranza (due terzi) dei circa 170mila pensionamenti di anzianità che l'Inps autorizza ogni anno.
Quanto si risparmierebbe, con un intervento del genere, dipende dall'età che si sceglie come tetto minimo; sapendo che circa 100mila pensioni da 10-12mila euro l'anno (queste sono le medie Inps) equivalgono a un flusso di spesa di circa 1-1,2 miliardi l'anno.
Per la Lega questo «allineamento possibile e graduale» con l'Europa è, semplicemente, impossibile.
Ci diranno le prossime ore di trattativa se, alla fine, il presidente del Consiglio riuscirà a strappare qualcosa di più del compromesso minimo su «quota 97» anticipata al 2012 con età a 62 anni. Se riuscisse a farlo potrebbe anche aggiungere persino altre correzioni compensative in grado di rendere più appetibile una riforma pensionistica varata nel pieno di una crisi politica ed economica senza precedenti. Le proposte non mancano e qualcuna è pronta già da diversi mesi. Si potrebbe, per esempio, azzerare il limite di tre anni che è oggi necessario per la totalizzazione dei contributi previdenziali; norma fondamentale per un mercato del lavoro sempre più mobile e frammentato.
E lo stesso si potrebbe fare con la valorizzazione di tutti i periodi contributivi che possono essere calcolati tramite una ricongiunzione non onerosa. Micro-interventi, se si vuole, che accostati a una discontinuità vera sulle anzianità potrebbero far percorrere un altro tratto, non certo quello finale, a un sistema previdenziale che resta in ogni caso tra i più stabili dell'Occidente.
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