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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2011 alle ore 08:40.

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In primo luogo, al fine di aumentare la fiducia nella stabilità del sistema bancario europeo, si vuole portare al 9% il capitale di rischio delle banche. Purtroppo rischiamo di assistere al classico tentativo di svuotare una pozza d'acqua con un secchiello bucato.

Perché cresce la sfiducia nelle banche europee? Il motivo è una catena di incertezza, il cui primo anello è il rischio fallimento del debito greco, il secondo è il contagio ad altri debiti sovrani oggi solo illiquidi, e solo il terzo è rappresentato dalla fiducia nei bilanci delle banche in generale, e solo da ultimo si arriva ai rischi di insolvenza di singole banche.

Per svuotare la pozza d'acqua basterebbe che l'Unione affrontasse al meglio – come finora colpevolmente non ha fatto – il primo anello: assicurare la copertura del debito greco finora emesso, senza alcun costo per i privati che lo detengono, banche incluse. La catena si spezzerebbe, la speculazione si brucerebbe altro che le dita, e si tornerebbe a poter parlare di disciplina fiscale di lungo periodo per gli Stati sovrani e di regole anti-rischio sistemico per le banche.

Invece, senza toccare la catena dell'incertezza, si chiede alle banche di ricapitalizzarsi; magari con tempi e modi graduali, ma chi lo dice ai mercati? I mercati vogliono tutto e subito, ma non sarà possibile, in un settore che ha visto - in un anno e in tutti i Paesi maturi - la remunerazione effettiva del capitale di rischio cadere di molto, e quella prospettica essere comunque non alta, se – come tutti dicono di volere – le banche dovranno avere sempre di più un profilo di rischio sano e regole. Ma se la ricapitalizzazione hic et nunc non è possibile, chiedere alla banche di ricapitalizzarsi significa aggiungere altra benzina all'incertezza. E non è finita qui.

Un secondo orientamento tossico, al fine di aumentare la trasparenza e di uniformità dei bilanci bancari, è quella di obbligare a valutare tutti i titoli del debito sovrano ai prezzi di mercato. Qui il secchiello, altro che forato, è completamente sfondato. Premesso che le banche europee continuano a soffrire di svantaggi competitivi rispetto alle banche americane – che possono continuare ad essere più opache grazie alle loro regole contabili, non intaccate nemmeno dalla crisi – è paradossale che si possa invocare la trasparenza e l'uniformità per utilizzare delle regole che altro non fanno che moltiplicare nella dimensione e nel tempo le distorsioni che l'attuale fase dei mercati sta vivendo. Nessuno può negare che questi siano tempi eccezionali: eppure, si vogliono rendere cogenti regole che aggravano i danni delle presenti distorsioni, attivando un moltiplicatore dell'incertezza. Oggi i principi sistemici di sana e prudente gestione consiglierebbero di definire regole che incentivino gli operatori a detenere i titoli fino alla scadenza; invece si spinge in direzione opposta, accentuando i rischi di illiquidità e di insolvenza dei debiti sovrani. Ci sarebbe da ridere, se i rischi non fossero davvero gravi.

Ma il capolavoro è il terzo orientamento che si vuole prendere, consentendo invece alle banche di applicare senza limiti criteri di svalutazione e rivalutazione del portafoglio titoli. Con evidentemente tanti saluti ai criteri di trasparenza e di uniformità, qual è la ragione di una simile propensione? Taluno sostiene che tutte le banche sono contrarie, tranne le tedesche e le francesi, che vengono accontentate. Non sarà vero. Speriamo.

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