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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2011 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 03 novembre 2011 alle ore 10:27.

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È davvero amaro dover constatare che la classe politica sta perdendo un'occasione importante per rendere solido e sostenibile l'assetto economico del nostro Paese.
Questo è quanto sta succedendo con il reiterato rifiuto della Lega Nord, e in particolare del suo segretario, Umberto Bossi, di prendere in considerazione qualsiasi cambiamento del sistema pensionistico attuale. Un'accelerazione del cammino già tracciato da ben 17 anni, ossia del passaggio dal sistema retributivo – dove l'assegno pensionistico viene calcolato in base a una media degli stipendi degli ultimi anni – al sistema contributivo – dove l'importo della pensione è strettamente correlato a quanto versato dal lavoratore attraverso i contributi– non sarebbe forse un intervento risolutivo, ma fornirebbe un contributo importante sul piano della finanza pubblica e uno ancora più importante su quello della credibilità internazionale.

Al contrario, i calcoli elettorali hanno avuto la meglio sulle visioni politiche e, ancora una volta, garantendo le pensioni degli anziani si compromette il futuro dei giovani, che solo la crescita può assicurare. E tuttavia, perché un Paese dovrebbe rassegnarsi all'incapacità della sua classe politica o, peggio, piegarsi alle pesanti minacce verbali del ministro Bossi nel caso di interventi sulle pensioni?
È sulla ricerca di una via d'uscita da questa difficile impasse che occorre esercitarsi, molto più che sulle esecrazioni. Ebbene forse una via d'uscita potrebbe esserci, all'altezza della gravità dei problemi che il Paese si trova ad affrontare. Essa potrebbe consistere in una presa di posizione, chiara e forte e possibilmente unitaria, da parte sindacale – e, se possibile, di quelle che oggi si chiamano "parti sociali" – a un intervento sulle pensioni, rigorosamente ispirato a principi non solo di sostenibilità finanziaria, ma anche di equità tra ed entro le generazioni.

Un intervento di questo tipo è possibile ed è stato più volte descritto su questo giornale: consiste nel dare immediata applicazione al metodo contributivo pro rata, con flessibilità a partire dall'età di 63 anni per uomini e donne e per tutte le categorie di lavoratori (inclusi, non si cesserà mai di ripetere, politici e liberi professionisti). Resteranno i «regali» del passato, sui quali si potrà sempre intervenire (come peraltro già si è fatto con il contributo di solidarietà sulle pensioni di importo più elevato), ma almeno si smetterà di elargirne di nuovi a scapito delle generazioni future. Un simile pronunciamento unitario delle parti sociali lascerebbe il governo, e l'opposizione, senza più alibi, e mostrerebbe una volta di più lo scollamento tra il Paese e la sua classe politica.

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