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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2011 alle ore 08:44.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2011 alle ore 09:41.

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Il Governo greco dovrebbe continuare a rispettare le condizioni di un programma esterno riformulato. Continuerebbe a cercare di riportare in equilibrio i conti pubblici, aiutato da un probabile deprezzamento reale su larga scala. La sua Banca centrale gestirebbe la nuova valuta in modo indipendente. Il livello dei prezzi nella nuova valuta schizzerebbe in alto, ma considerando l'eccesso di capacità produttiva si potrebbe riuscire a evitare l'iperinflazione con un po' di aiuto dall'esterno. Il default del settore pubblico e di quello privato sulle passività in euro sarebbe considerevole, ma se la Grecia, senza la nuova valuta, sperimentasse una deflazione interna prolungata per riguadagnare competitività con l'esterno il valore reale del debito in euro schizzerebbe in alto comunque. L'uscita dall'euro accelererebbe il processo. Intanto, la Grecia perderebbe il suo diritto di voto nella Bce, ma resterebbe aperta la possibilità di un suo ritorno.
Questo approccio cooperativo alla reintroduzione di una nuova valuta sarebbe il meno costoso, ma scatenerebbe un contagio. Se l'Eurozona ha deciso che bisogna evitare a tutti i costi questo rischio, deve tornare alla prima delle quattro opzioni illustrate da Roubini: in questo modo si garantirebbe il finanziamento ai Paesi potenzialmente solvibili e l'Eurozona uscirebbe dalla crisi attraverso la crescita.
Un'Eurozona costruita su un aggiustamento deflazionistico unilaterale non funzionerà. Questo sembra certo. Se i leader di Eurolandia insisteranno su questa linea dovranno accettare il risultato.

(Traduzione di Fabio Galimberti)
© THE FINANCIAL TIMES

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