Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2011 alle ore 09:21.

My24

Partiamo dai punti certi. In primo luogo è sicuro che ieri è cominciata di fatto una crisi di Governo profonda e drammatica. Si chiude una lunga stagione avviata nel 1994 e incardinata sulla personalità e le ambizioni di Silvio Berlusconi. È una crisi imposta e scandita dalle richieste europee all'Italia, con toni sempre più preoccupati e scettici. Si chiede serietà, si pretende credibilità. Non ci si fida più delle parole e delle promesse.
Secondo punto certo: gli spread volano all'incredibile quota 500, di pari passo con la diffidenza, a dir poco, dei mercati nei confronti dei nostri rituali politici e dell'inconsistenza del Governo. La paralisi è ormai un lusso insostenibile.
Altro punto certo: il presidente del Consiglio è in sostanza dimissionario. È l'effetto del colloquio al Quirinale, successivo alla grave sconfitta subìta alla Camera sul rendiconto dello Stato. Non c'è dubbio che il dopo-Berlusconi è avviato, anche se posticipato di un paio di settimane: il tempo necessario, così è stato spiegato, per approvare le misure della «legge di stabilità», rafforzate al ritmo degli ultimatum che si succedono con cadenza ormai quotidiana a opera di un'Unione decisa a imporre la sua regola agli italiani riottosi.

Il problema è che questi provvedimenti ancora non sono pronti. Lo saranno, c'è da crederlo, ma per ora non sappiamo quasi nulla. Quali misure, redatte in che termini, capaci di reggere quale grado di impopolarità... Sono tutte domande a oggi senza risposta. Perciò è difficile prevedere quanto veloce sarà l'iter dell'approvazione e quale livello di convergenza si avrà in Parlamento fra maggioranza e opposizione.
Veniamo ai problemi aperti. Berlusconi è riuscito ieri sera a guadagnare un po' di tempo, ma più in apparenza che in realtà. Tenterà di usarlo in ogni caso per allargare le distanze fra le forze politiche e dimostrare, ad esempio, che l'opposizione è lacerata al suo interno da mille contraddizioni. Se il gioco è questo, rischia di ritorcersi sul suo inventore. Quello che ci si attende dal presidente del Consiglio, giunto al passo d'addio, è invece un forte senso di responsabilità. Berlusconi ha detto a Napolitano di voler lasciare dopo la «legge di stabilità» per onorare l'impegno con l'Europa e riguadagnare così uno spicchio di credibilità. É bene che si attenga a questo proposito e si dimetta un istante dopo che il Parlamento avrà detto «sì», magari con qualche concorso dell'opposizione.

Anche perchè quello che verrà dopo fa parte dei doveri del presidente della Repubblica. Il quale, nella nota diffusa ieri sera, assicura di voler ascoltare con la massima attenzione le proposte di ogni forza politica, «da quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione». Tutte le forze politiche, ugualmente legittimate.
Il riferimento alle elezioni del 2008 lascia intendere che il capo dello Stato non intende accreditare governi che rovescino gli equilibri del bipolarismo. In altri termini, nessun «ribaltone», secondo un tema polemico caro al centrodestra (che talvolta dà quasi l'impressione di augurarselo, questo ribaltamento parlamentare, così da avere un magnifico argomento da usare in campagna elettorale). Al tempo stesso, il presidente della Repubblica non rinuncia ad alcuna delle sue prerogative e farà il possibile per verificare se esiste in Parlamento una potenziale maggioranza per l'Europa, ampia, trasversale e stabile. Una maggioranza che piacerebbe di sicuro all'Unione e avrebbe effetti benefici sugli «spread» dei titoli di Stato, specie se fosse affidata a una personalità di grande prestigio internazionale.

Ma se questo non fosse possibile, ogni forza politica si assumerà le sue responsabilità quando il rebus politico sarà sciolto con il ricorso alle elezioni anticipate. Nella speranza che la cornice europea costringa tutti a misurare gli accenti e il tasso di populismo. L'importante che la partita si svolga secondo regole trasparenti. Il Quirinale si muove offrendo a tutti la massima garanzia, ma chiede in cambio analoga correttezza. Sia Berlusconi sia Bersani e gli altri protagonisti della scena politica sanno di dover uscire dal piccolo cabotaggio e da un orizzonte meramente provinciale. Siamo arrivati al l'esame di maturità collettivo. Ognuno dovrà affrontare problemi inediti.
Il presidente del Consiglio, ad esempio, dovrà rassegnarsi alla nuova fase, quindi anche ad altre fughe dal Pdl, a veri e propri smottamenti di deputati e senatori desiderosi di evitare le elezioni. E' la conseguenza della fine di un'epoca. Si tratta di gestire la situazione con serietà, senza mai perdere di vista l'unica prospettiva realistica: c'è un paese da salvare con coraggio e, per una volta, disinteresse.
Allo stesso modo Bersani dovrà mettere sul tavolo la forza popolare del Pd, senza essere troppo condizionato dai Vendola, dai Di Pietro e sullo sfondo dai seguaci di Beppe Grillo. Può darsi che il Pd perda qualche consenso, ma ne guadagnerà la sua cultura di governo. E il "terzo polo" di Casini e Fini dovrà preoccuparsi di mandare un messaggio chiaro agli italiani, non solo di vincere la partita nel "palazzo". Alle elezioni può darsi che si arrivi in tempi brevi, ma è essenziale che la sfida non sia distruttiva. L'Italia non potrebbe sopportarla.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi